La guerra russa in Ucraina riaccende i riflettori sulla missione militar-sanitaria di Mosca a Bergamo, Conte al Copasir. Intanto in Sud Africa va in scena lo stesso copione, da quattro mesi. E la collaborazione medica diventa una leva politica
Non è un episodio, è un metodo. Il dejavu dei carri militari russi pieni di medici e militari a Bergamo rivive oggi a 12mila chilometri di distanza. A Johannesburg, tra le più grandi città del Sud Africa, è parcheggiato un “laboratorio mobile” molto simile a quello immortalato in viaggio sulla Pontina nel maggio del 2020, scortato da un convoglio russo formato da ben ventidue veicoli e 102 persone.
Si trova sul retro dell’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili (Nicd), nel quartiere di Sandringham. Il camion che lo trasporta è della Kamaz, la stessa ditta dei camion sbarcati due anni fa a Pratica di Mare. Ma il laboratorio non è sempre stato lì. Per lungo tempo, spiega il sito investigativo News24, è rimasto a “raccogliere polvere” nell’aeroporto internazionale di Or Tambo.
Mentre in Italia si torna a parlare della missione “From Russia with love” (“Dalla Russia con amore”) – l’invio di una delegazione di medici, militari e, secondo reportage di stampa, agenti dei Servizi segreti con l’obiettivo ufficiale di aiutare Bergamo nella morsa del virus – in Sud Africa va in scena un copione simile, se non uguale. Che aiuta a capire, due anni dopo, il significato politico che per la Russia ha avuto la discussa missione in Nord Italia.
Non sono tanti infatti i Paesi “eletti” da Mosca per ospitare il “laboratorio mobile di risposta rapida” del Rospotrebnadzor, l’agenzia governativa russa per la Sanità guidata da Anna Popova. Si contano sulle dita di una mano. Dopo l’Italia, nella primavera del 2020, una missione simile si è vista in Serbia, nel giugno dello stesso anno, e in Tagikistan un mese dopo.
Lo scorso dicembre, dopo una lunga trattativa, è arrivato il turno del Sud Africa di Cyril Ramaphosa. Una telefonata del presidente russo Vladimir Putin ha sbloccato l’intesa, il 9 dicembre, dando il via al decollo di un Ilyushin IL-76 da Volvograd alla volta di Cape Town, la capitale sudafricana. A bordo un team di epidemiologi e fisici del ministero della Salute, una task force del ministero delle emergenze e il laboratorio mobile.
La spedizione, pur nel totale riserbo sui partecipanti, ha avuto grande spazio sulla stampa governativa russa, descritta come riprova della solida relazione tra Mosca e Città del Capo. L’obiettivo, almeno sulla carta, è scientifico: il Paese è stato infatti l’epicentro della variante Omicron che tra dicembre e gennaio è dilagata in Europa e nel resto del mondo. Ma la missione ha anche un forte connotato politico.
Il Sud Africa è un alleato affidabile del Cremlino. Lo è sempre stato: già in piena Guerra Fredda, specie durante la lotta per l’Apartheid, la capitale era un crocevia fondamentale per la Stasi e le altre agenzie dei Servizi russi. Nel 2015 il governo sudafricano ha perfino pagato 100 milioni di dollari per partecipare a un programma di sorveglianza satellitare installato dai russi, “Project Condor”.
Proprio come in Italia, dove i carri russi si sono immessi sulla Pontina, sotto lo sguardo attonito degli alleati Nato, con tanto di sticker tricolori sulla fiancata, anche la spedizione sudafricana è stata accompagnata da una massiccia propaganda russa. Non tutto però è andato liscio. Il laboratorio, anche noto come “centro multifunzionale di diagnostica mobile”, non è infatti riuscito a superare il controllo alla dogana, spiega News24. Tant’è che, almeno nelle prime settimane, la missione dei medici e militari russi è dovuta proseguire senza.
Spiegava a dicembre Foreign Policy che dietro al freno messo alla delegazione russa si celavano ben altre remore. Il laboratorio mobile, scrive Nosmot Gbadamosi, ha “sollevato preoccupazioni tra alcuni scienziati sudafricani sulla possibilità che la missione consistesse in una “raccolta dati” mirata a potenziare il vaccino anti Covid-19 Sputnik V”.
Le accuse, prontamente negate da parte russa, riecheggiano i sospetti, sollevati da alcuni giornali italiani, tra cui Formiche.net e La Stampa in una lunga inchiesta, sulle vere intenzioni della missione di Bergamo, oggi tornata sotto i riflettori pubblici per la guerra russa in Ucraina. Nel lungo cordone di uomini al seguito del generale Kikot, aveva allora svelato il quotidiano torinese insieme a Coda-Story, c’erano anche militari del Gru, i servizi segreti di Putin.
Lo stesso timore rimbalza oggi sulla stampa locale sudafricana. La raccolta di materiale doveva infatti durare un mese o poco più, e a gennaio Putin aveva ringraziato Ramaphosa per “l’opportunità di lavorare sulla malattia nel suo posto di origine, dove è stata scoperta”. Perché allora, si chiede oggi News24, il laboratorio mobile degli scienziati russi si trova ancora a Johannesburg, a fine marzo?
Sulla missione russa in Italia torna ad accendersi oggi il dibattito pubblico. Ci si chiede perché e come sia stato possibile far sfilare sulle strade italiane gli stessi mezzi militari russi che oggi sfilano in direzione di Kiev, Mariupol e Kharkiv. Domande cui dovrà rispondere l’ex premier Giuseppe Conte, convocato oggi al Copasir in una seduta straordinaria. Quanto alla portata politica di quella gita fuori porta, il caso sudafricano può dare un indizio.
Come altri Paesi africani, il Sud Africa, su cui pure c’erano aspettative per una mediazione, ha fatto spallucce di fronte all’invasione russa in Ucraina. Si è astenuto alla votazione dell’Assemblea generale dell’Onu e continua a puntare il dito più contro la Nato che contro l’invasore. Mercoledì la delegazione sudafricana all’Unione inter-parlamentare (Ipu) ha tuonato contro una risoluzione che condanna l’aggressione russa. Tajikistan e Serbia, altri due Paesi diventati target della spedizione “sanitaria” russa, hanno presto rotto gli indugi schierandosi con Mosca.
In Italia niente di simile, va da sé. Ma il fatto stesso che sia stata scelta – unico Paese in Europa – come meta ideale per la spedizione militar-umanitaria dice qualcosa delle aspettative russe. Le stesse che portano il ministero degli Esteri – per bocca di Alexei Paramonov, a capo del Dipartimento Europa I – a indignarsi per le sanzioni del governo Draghi e promettere “conseguenze irreversibili”.