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Perché Biden ha sbagliato citando Giovanni Paolo II

Nulla nel magistero del papa polacco ha ipotizzato un’invasione della Russia. Francesco ha smascherato il mimetismo di Biden, o forse lo ha invitato a capire il suo errore, mimetico. L’opinione di Riccardo Cristiano

Perché Joe Biden è arrivato a citare Giovanni Paolo II durante la sua visita in Polonia? E come ha risposto Francesco cercando di evitare che questo errore del presidente americano non venga capito da chi lo ha commesso? Per rispondere occorre partire da un punto che sembra lontano: la crisi sacrificale e il capro espiatorio. Di che  sacrificio parliamo? Putin non ha forse detto, citando malamente il Vangelo, che nulla è più bello che morire in combattimento per la patria, sacrificando noi stessi per gli amici, come fece Gesù? Oltre che totalmente fuorviante possiamo capire questo in una società ormai secolarizzata? Sì, se ci liberiamo dal pregiudizio che tutto questo abbia a che fare con la religione, con dio. No, il sacrificio, il capro espiatorio, ha un valore sociologico: serve a costruire e mantenere l’ordine sociale. Il principio sacrificale fonda anche le guerre e la nostra idea di “potenza americana”.

Il capro espiatorio serve a chiamare su di sé la violenza che altrimenti ci dilanierebbe, correrebbe tra noi. In questo modo la spostiamo sul capro espiatorio e così salviamo il nostro ordine dalla nostra violenza. Chi ha capito questo a me sembra sia stato Salvini che ha fatto dei migranti, più o meno clandestini, il capro espiatorio sul cui sacrificio mantenere l’ordine sociale. Non poteva che essere il papa, qualsiasi papa ma in questo caso Francesco, a opporsi a questa impostazione dato che il cristianesimo si fonda su una denuncia che urla: “il capro espiatorio è innocente”! Se si considera che per funzionare questo meccanismo deve prevedere la sacrificabilità della vittima, cioè la sua impossibilità di vendicarsi riportando la violenza nella nostra società, si converrà che il rischio è previsto, il meccanismo può estendersi. Le conseguenze di un rifiuto sono numerose, ma la principale a me sembra questa: la violenza non ha fondamento religioso.

Procedendo scopriamo che nella nostra società secolarizzata il  pensiero laico assume il concetto basilare del sacrificio religioso: le guerre hanno un superiore obiettivo morale, per tutti noi è così. È la corsa che vediamo a giustificare moralmente la guerra, sia da parte di chi capisce Putin con il ritornello anti-Nato (che ha un fondamento) sia di chi fa il contrario, definendolo Putin un macellaio (con un fondamento), come ha fatto Biden. Torniamo così al sacrificio rituale, al capro espiatorio: esiste ancora, ma per mantenerlo tra noi pur sapendo che è innocente non possiamo nominarlo, non vogliamo nominarlo. Per questo dobbiamo riarmarci: per essere culturalmente attrezzati a un ordine neo-sacrificale.

Ecco che emerge una tendenza inevitabile: chi sarà a scegliere il capro espiatorio se non il potere mondiale? Questa certezza fonda l’antiamericanismo. È l’idea per cui gli attentatori suicidi islamici sfiderebbero lo strapotere globale americano sottraendogli il potere di esercitare una violenza non vendicabile. Non se ne esce se non riconosciamo che non esiste una violenza pura. Oppure tutto diventa sacrificabile pur di preservare l’ordine sociale, a qualsiasi costo: siamo a quella che è stata chiamata “crisi sacrificale”.

La guerra in Ucraina fa debordare questa crisi sacrificale. Si basa probabilmente sull’intento non colto nell’azione di Putin: più che il timore per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato potrebbe trattarsi di una guerra mossa dal mimetismo della violenza. Putin desidererebbe ciò che desidera il suo nemico. René Girard lo ha detto con parole perfette: “Il soggetto desidera l’oggetto perché lo desidera il suo rivale”. Non conta stabilire se Putin desideri l’Ucraina perché la desidera la Nato, o se la Nato la desideri perché la desidera Mosca. Conta capire che a muoverci non è la concorrenza, ma l’imitazione: questo impedisce la comprensione. Noi desideriamo quello che desiderano gli altri. Seguiamo modelli. In questo processo di imitazione, la violenza anche diviene mimetica: l’esempio più chiaro è Bin Laden che segue il modello di potenza globale violenta che trova negli americani proponendosi di imitarlo con un opposto modello globale, ancor più oscenamente violento. È proprio Girard a vederlo materializzarsi nell’11 settembre.

Il meccanismo mimetico però non è unilaterale. Se Putin segue l’esempio di potenza mondiale imposta degli Stati Uniti, in modo mimetico, lo stesso accade a noi, a Biden. È Putin che diviene modello ponendo alla base del suo modello imperiale violento la religione che lo legittima. L’accordo con il patriarca di Mosca, Kirill. Biden lo imita, in un esempio sconvolgente di perfetto mimetismo. È questo il significato della sua scelta di citare Giovanni Paolo II in Polonia, il suo dire “non abbiate paura”. Ora è Putin che è diventato modello, Biden discepolo. Con ogni probabilità Francesco è pienamente consapevole di questo pericolosissimo istinto mimetico che fa del cristianesimo un legittimatore della violenza mimetica. Per questo potrebbe aver detto per la prima volta che quella di Putin è una guerra di invasione dell’Ucraina. Non aiuterà gli sforzi di mediazione del Vaticano dire chiaramente la natura dell’azione russa, ma toglie a Biden la speranza di poter fare di Giovanni Paolo II la sua stampella. Nulla nel magistero del papa polacco ha ipotizzato un’invasione della Russia. Francesco ha smascherato il mimetismo di Biden, o forse lo ha invitato a capire il suo errore, mimetico.


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