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Cosa non torna nella tassa sugli extra-profitti. Lo studio Ibl

Una delle gambe del decreto nato per fermare la corsa dei carburanti, il prelievo del 10% sui margini extra delle grandi aziende dell’energia, potrebbe essere contrario allo statuto del contribuente e persino alla Costituzione. Ecco perché

Non è un gioco di prestigio, semmai più uno scherzo di cattivo gusto e magari persino contrario alla legge. Lo sostengono, senza mezzi termini, gli economisti dell’Istituto Bruno Leoni, tra cui Dario Stevanato, autore del paper Extraprofitti: una tassa ingiusta, inutile e dannosa.

Al centro dell’analisi, una delle gambe del decreto da 4,4 miliardi approvato lo scorso venerdì con cui il governo abbatterà di 30 centesimi, per un mese o poco più, il prezzo dei carburanti alla pompa. Non meno di 4 miliardi, su 40 di extra-profitti maturati nel 2021, arriveranno per l’appunto, dal contributo straordinario del 10% a carico dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato l’attività di produzione di energia elettrica, produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale e rivendita di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale.

Più nel dettaglio, la base imponibile del contributo straordinario è costituita dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, al netto dell’Iva, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 31 marzo 2021 e include tutti i produttori, rivenditori e importatori di energia elettrica, gas e prodotti petroliferi.

Ora, secondo l’economista del Bruno Leoni, tale tassa risulta “ingiusta, inutile e dannosa”, dal momento che “tale provvedimento presenta molti elementi di criticità. Prima di tutto, trattandosi non già di una addizionale o maggiorazione dell’aliquota Ires, bensì di un nuovo tributo dal carattere ibrido, sul valore aggiunto, istituito con decreto legge, viene violato l’art. 4 dello Statuto dei diritti del contribuente, che  sua volta proibisce l’istituzione di nuovi tributi con decreto legge”.

Non è tutto. “Ad essere violati potrebbero essere anche alcuni articoli della Costituzione (il 3 e 53), poiché va verificato il profilo di coerenza tra gli obiettivi e scopi del prelievo straordinario e la struttura dell’imposta, che deve essere coerente rispetto alla sua ratio giustificatrice”, mette in chiaro Stevanato. “L’imposta introdotta non è un’imposta sul reddito né un’imposta per cui è prevista la rivalsa. Al contempo, la stessa appare non solo inerente all’attività di impresa, ma addirittura strettamente inerente alla produzione del valore aggiunto tassabile e, di riflesso, del reddito di impresa. Anche sotto questo profilo la nuova imposta appare in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione”.

Nel paper, Stevanato individua anche altri elementi di criticità, che lasciano presagire un percorso accidentato per il prelievo in questione. E la conclusione è che “forse una prospettiva per salvare il prelievo straordinario dalle più gravi censure di costituzionalità sopra prospettate potrebbe fondarsi sulla sua natura eccezionale e temporanea, profili cui la Corte Costituzionale ha talvolta attribuito rilevanza proprio nell’ottica di un salvataggio, ma non si può oggi dire se ciò sarà sufficiente: come recentemente precisato proprio dai giudici costituzionali, di per sé  la temporaneità dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazione a un’imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai principi costituzionali”.

Dal punto di vista più industriale, quello delle aziende invece, secondo gli analisti di Equita Sim “il contributo è pari al 10% del maggior profitto e dalle nostre prime stime, con ancora molti elementi da approfondire e non confermate dalle società, gli impatti sulle società quotate del settore sembrano non particolarmente rilevanti”. Meno male.

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