Due anni di pandemia, repressione governativa, strategia zero-Covid e ora la guerra in Ucraina hanno fatto evaporare oltre la metà del valore in Borsa dei giganti tecnologici cinesi. Per Jp Morgan è meglio stare alla larga dalle loro azioni. Pechino prova a metterci una pezza, ma non basta
Un crollo, di quelli pesanti, destinati a segnare la storia dell’industria tecnologica cinese. Stavolta la caduta dei giganti del mattone, Evergrande su tutti, c’entra poco. Altri colossi, ma di tutt’altra pasta: Alibaba, Tencent, solo per citarne alcuni.
Aggrediti a suon di regole, tentate scalate, multe e nazionalizzazioni dal governo cinese, nel corso di questi due anni le grandi tech del Dragone hanno perso gran parte del loro valore in Borsa, assistendo spesso alla demolizione sistematica del proprio capitale, ai minimi dal 2008, l’anno di Lehman Brothers. Oggi l’impero fondato da Jack Ma vale il 66% in meno, Tencent il 50%. Non può stupire che Jp Morgan abbia sconsigliato gli investitori globali dall’avvicinarsi alle azioni di queste aziende, per i prossimi 6-12 mesi.
All’intervento del governo si sono aggiunti la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione. E, soprattutto, la pandemia è tornata a mordere la Cina, la cui strategia zero-Covid a suon di lockdown non ha certo portato benefici all’economia. In pochi giorni, il comparto tech cinese ha bruciato 100 miliardi di capitalizzazione. Ce ne è abbastanza per andare knock out.
Secondo Bloomberg, le perdite sono aumentate vertiginosamente dopo che Jp Morgan Chase ha declassato 28 titoli tech cinesi tra cui, per l’appunto, Alibaba, Tencent Holdings e Meituan. “Con la situazione attuale, è troppo difficile dare una valutazione a queste società, considerando i rischi geopolitici legati all’Ucraina e il conflitto tra Cina e Stati Uniti”, ha affermato l’analista di Kay Hian, Julia Padella. “L’indicatore delle 30 principali società tecnologiche cinesi ha perso il 39% quest’anno, spazzando via oltre 460 miliardi di dollari di valore di mercato. Più di mille miliardi di dollari sono stati persi l’anno scorso a causa di una repressione da parte del governo di Pechino”.
E a poco servono le ultime sedute sprint per Alibaba e Tencent, tradottesi in un aumento del 20%. Ad azionare la molla è stata la notizia, giunta dall’agenzia di stampa del governo cinese Xinhua secondo la quale le autorità di Pechino metteranno in campo una vasta politica di stimoli monetari che include nuovi prestiti per sostenere le aziende cinesi.
Ma il danno è ormai fatto. Se si conta quanto denaro è stato spazzato via da luglio 2020 riguardo tutte le società che in qualche modo sono finite nel mirino del governo di Xi Jinping, si registra una cifra di oltre 1.500 miliardi di dollari. Molti osservatori pensavano che nel 2022 l’ira di Pechino si sarebbe placata, ma in realtà gli effetti sismici si sono sentiti tutti. Alla fine, sfibrando le società più preziose e nel nome della prosperità comune predicata da Xi Jinping, si rischia di affossare quella che è stata la colonna portante della straordinaria crescita cinese in tutti questi anni. Anzi, forse è già successo.