Intervista a Charles Kupchan, senior fellow del Council on Foreign Relations. La Cina farà scudo a Putin ma porrà delle condizioni, il disordine globale è un problema per Xi e i suoi piani. Taiwan? Rischia meno di Kiev, lì Biden interverrebbe. Il decoupling si può fare con Mosca, con Pechino no
Quasi amici. Charles Kupchan, politologo e senior fellow del Council on Foreign Relations, è convinto che la Cina di Xi Jinping farà scudo alla Russia finché potrà permetterselo, non oltre. L’invasione russa in Ucraina, dice a Formiche.net, è una pessima notizia per Pechino e un po’ meno per Taiwan.
Kupchan, come legge la reazione della Cina all’invasione?
Se leggiamo le dichiarazioni del governo cinese nelle ultime due settimane è chiaro come a Pechino non siano felici dell’invasione russa in Ucraina. La Cina mantiene un doppio binario: si schiera con Mosca ma al tempo stesso sottolinea l’importanza della non-interferenza e dell’integrità territoriale.
Qual è la strategia?
Pechino fatica a trovare una posizione coerente. Alla fine dei conti però sono convinto che la Cina starà con la Russia: quando le acque si calmeranno sarà poco incline a condannare l’invasione. E questo per il semplice motivo che la Cina considera la sua relazione con la Russia un matrimonio di convenienza. Una partnership che dà vita a un blocco autoritario dalla costa del Pacifico ai confini con l’Ue.
Che conseguenze può avere l’invasione per il governo cinese?
Sotto la superficie i cinesi sono irritati. Pechino persegue obiettivi molto diversi da Mosca. È più interessata a un’erosione graduale dell’ordine mondiale a guida americana piuttosto che alla sua distruzione improvvisa. Putin è “un piantagrane”, si rafforza nella distruzione. Xi ha più di un buon motivo per trarre vantaggio dalla stabilità geopolitica e dall’interdipendenza economica globale. È molto meno interessato al caos, preferisce lavorare costantemente alla creazione di un sistema internazionale non più dominato dalle democrazie occidentali.
Cosa aspettarsi nelle prossime settimane?
Dovremo tenere un occhio aperto sulle sanzioni. Se la Cina aggirerà le misure restrittive occidentali per sostenere la Russia pagherà un prezzo. A quel punto potremmo assistere a un decoupling economico più ampio, anche se lo ritengo improbabile.
Altrimenti?
Se il conflitto in Ucraina dovesse evolversi in una guerra contro la Nato, la distruzione delle supply chain globali che ne deriverebbe sarebbe un enorme problema per Russia e Cina. Xi si troverebbe a dover decidere se sostenere la Russia militarmente oltre che politicamente, e credo che farà di tutto per evitare di trovarsi a questo bivio.
C’è chi sostiene che l’invasione in Ucraina possa incoraggiare un’offensiva della Cina su Taiwan. Lei cosa pensa?
Non sono d’accordo. I cinesi stanno osservando da vicino la condanna globale della Russia e preferiscono non imboccare la stessa strada. All’Assemblea generale dell’Onu 141 nazioni hanno votato contro Mosca: la Cina è straordinariamente sensibile alla sua reputazione internazionale. Credo poi che a Pechino non siano tanto ingenui da mettere sullo stesso piano la reazione della Nato verso l’Ucraina alla capacità di reazione degli Stati Uniti di fronte a un’aggressione a Taiwan.
Un intervento americano è più probabile a Taipei che a Kiev?
Molto più probabile. In Ucraina, dopo la richiesta di adesione alla Nato, abbiamo sentito dichiarazioni di impegno o almeno di buona volontà da parte dell’Alleanza. Oggi scopriamo che quell’impegno non è mai esistito. Per Taiwan è vero il contrario: non esiste un impegno strategico formale degli Stati Uniti. Ma di fronte a un’aggressione cinese gli Stati Uniti dimostreranno che esiste, eccome.
C’è un’altra lezione dalla crisi. L’Occidente si prepara a fare i conti con un decoupling dalla Russia. Con la Cina le cose cambierebbero?
Un decoupling di questa portata con la Cina sarebbe enormemente distruttivo, forse insostenibile. L’economia russa ha le dimensioni di quella texana, l’economia cinese è la seconda al mondo e vuole arrivare in vetta. Tagliare i ponti significa dare avvio a una revisione e frammentazione completa dell’economia globale.
In parte è già successo con la pandemia del Covid-19.
Esatto, basta osservarne gli effetti sulle supply-chain globali. Con la Cina però la posta in gioco è più alta: è il primo partner commerciale della Germania, uno dei principali per gli Stati Uniti. L’unico modo per separarsi è ricreare due blocchi, una nuova Guerra Fredda, democrazie da una parte, autocrazie dall’altra. È uno scenario improbabile, fortunatamente.