La guerra produrrà, al di là della sua evoluzione, conseguenze profonde sui futuri assetti politici internazionali. La Federazione Russa ne uscirà avendo subito un grave danno d’immagine, con ridotto prestigio e stretta nell’abbraccio con la Cina. Un fossato profondo è stato scavato e rimarrà tra Europa e Asia. L’analisi del professore Luciano Bozzo, Università di Firenze
A quasi un mese dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina alcuni dati di fatto sono oramai acquisiti e consentono di provare a disegnare i possibili scenari futuri di breve periodo, con qualche considerazione riferita invece al lungo periodo.
Sin qui la variabile decisiva è stata, ancora è e continuerà ad essere, la situazione sul campo, ovvero l’evoluzione delle operazioni militari. Secondo ogni evidenza i Russi stanno combattendo con difficoltà una guerra profondamente diversa da quella attesa e pianificata. A parte le informazioni errate, gli errori di calcolo e le difficoltà logistiche, la resistenza ucraina si sta dimostrando molto più efficace e determinata di quanto previsto. Ora, qualsiasi conflitto bellico è caratterizzato da una duplice interazione dinamica. Da un lato c’è quella che si sviluppa tra i due contendenti; dall’altro quella, continua, tra i mezzi impiegati nel confronto militare da ciascuna delle parti e gli obbiettivi che esse intendono conseguire.
Se è vero che nel calcolo dell’attaccante l’intensità iniziale in termini di violenza del confronto bellico è determinata dal rilievo dei fini che egli intende perseguire con l’azione armata è altrettanto vero che è dallo sviluppo dell’interazione tra attaccante e difensore che verrà determinata l’intensità dello scontro. Nel caso in cui l’attaccante si trovi a dover affrontare una resistenza che non è in grado di superare, nella maniera e con i mezzi inizialmente programmati e impiegati, egli non avrà altre opzioni che desistere dallo sforzo o aumentarne l’intensità. L’aumento dello sforzo, tuttavia, se non riuscirà a vincere rapidamente la resistenza si tradurrà in un ulteriore aumento dei costi della guerra, in termini sia di perdite umane che materiali. In tal caso i mezzi retroagiscono sui fini del conflitto.
Perdite crescenti e costi aumentati, infatti, non potranno essere giustificati dall’eventuale conseguimento degli obbiettivi iniziali della guerra, percepiti come non più commisurati allo sforzo prodotto. È questo ciò che accadde ad esempio nella Prima guerra mondiale, quando l’enorme prezzo di sangue pagato dai belligeranti portò le ragioni della guerra a prevalere su quelle della politica. Così, a conclusione del conflitto bellico, la Francia pretese pesanti e umilianti condizioni di pace per la Germania, quest’ultima sviluppò un revanchismo viscerale, l’Italia il mito dannunziano della vittoria mutilata.
Fatte queste premesse e tenendo a mente quanto accaduto nelle prime settimane di guerra in Ucraina proponiamo cinque scenari di breve periodo, con una valutazione sulle rispettive probabilità di accadimento. Ad essi aggiungeremo infine qualche considerazione per quanto riguarda l’evoluzione della politica internazionale nel più lungo periodo.
1. Per effetto dell’aumentata opposizione interna alla guerra e delle sanzioni economico-finanziarie Putin è estromesso dal potere. La probabilità di accadimento di questo primo scenario è estremamente bassa, se non in caso di sconfitta militare russa. Nella storia non sono certo mancati autocrati che abbiano perduto il potere e/o la vita, ma quando ciò è avvenuto è stato appunto a causa di una sconfitta militare. Come dimostrano i casi di Gheddafi, Saddam Hussein, Reza Pahlavi, Hitler, Mussolini.
2. Putin accetta la sconfitta, prendendo atto delle forti difficoltà militari, delle perdite e dei costi crescenti del confronto, e rinuncia a parte sostanziale degli obbiettivi prefissati: probabilità prossima allo zero. La sconfitta avrebbe implicazioni estremamente pesanti per prestigio e ruolo della Federazione e per il leader significherebbe – vedi al precedente scenario – perdita del potere e forse della vita.
3. Putin vince il confronto sul campo, ottenendo gli obbiettivi prefissati e la guerra termina: probabilità estremamente bassa. Il problema è che qui giunto il leader russo non può perdere, ma in considerazione dell’efficacia della resistenza ucraina e dei mezzi messi a disposizione dai Paesi Nato, non può più vincere.
4. Si concretizza nel breve periodo un’iniziativa diplomatica risolutiva: probabilità bassa. Putin mantiene infatti l’iniziativa militare e può ancora impegnare risorse nel confronto, sebbene probabilmente limitate. Inoltre, le perdite subite e ai costi sin qui affrontati, in ragione dell’interazione sopra evidenziata, non lo inducono certamente alla moderazione dei fini, anzi. Questo, unito al fatto che il tempo lavora per Zelensky, allontana la prospettiva di accordo.
5. Quale conseguenza dell’aumentata pressione militare russa e della riconfermata capacità di resistenza ucraina prosegue la “scalata” del confronto verso più alti livelli di violenza. La probabilità di accadimento è in questo caso alta. Putin, non riuscendo a risolvere il conflitto a proprio favore, per dimostrare la propria risolutezza nella prova di forza sarà tentato di impiegare sistemi d’arma e armi più potenti, non tanto per il contributo che potranno offrire allo sforzo bellico, quanto a fine simbolico-comunicativo. Lo scenario implica un aumentato rischio di incidenti, di un allargamento del conflitto armato e, una volta che fossero esaurite le opzioni convenzionali più potenti ed eventualmente impiegate armi di distruzione di massa (chimiche o batteriologiche), l’avvicinamento alla “nuclear threshold”.
Quelli sin qui elencati sono possibili scenari a breve, resta da fare qualche considerazione sul più lungo periodo. Tralasciando la peggiore possibile evoluzione dell’ultimo scenario, la guerra produrrà comunque conseguenze profonde sui futuri assetti politici internazionali. La Federazione Russa ne uscirà avendo subito un grave danno d’immagine, con ridotto prestigio e stretta nell’abbraccio con la Cina, perciò destinata a proseguire lungo la strada del declino quale grande potenza già imboccata. Un fossato profondo è stato scavato e rimarrà tra Europa e Asia. Infranto il sogno liberale della turbo-globalizzazione a crescente interdipendenza il sistema internazionale si troverà probabilmente fratturato in “pan-regioni” a carattere economico-politico. La “disperata ricerca d’ordine” che Henry Kissinger vedeva come segno distintivo della politica internazionale contemporanea resterà insoddisfatta. Il processo di destrutturazione del sistema aumenterà, e con esso la natura caotica della politica internazionale.