Così come lo shock pandemico ha aperto la strada all’Europa della Sanità, lo shock della guerra russa contro l’Ucraina può spianare il percorso per due Europe di cui abbiamo urgente bisogno. Il corsivo dell’On. Enrico Borghi, responsabile Sicurezza della Segreteria Pd e componente del Copasir
Aleggia, nella vita politica italiana, una sorta di sospensione degli spiriti. Davanti all’imponderabile, e all’innominabile, ovvero il ritorno della guerra sul suolo europeo, gli stati d’animo oscillano.
Barcollano naturalmente i sovranisti, gli epigoni del putinismo di casa nostra, i fautori della fuoriuscita dal decadente ordine europeo, occidentale e liberale in nome delle parole magiche dell’identità e del suolo. L’effetto spiazzamento determinato dai tank su Kiev è per loro evidente, e non basteranno gli artifici verbali di un pacifismo allestito nell’ultima ora (quando Putin spianava Grozny o invadeva la Crimea, infatti, non si sentiva a quelle latitudini il bisogno di evocare Sant’Agostino…) per reinventarsi un posizionamento politico credibile.
Ma l’effetto “straniamento” sulla vita politica italiana appare piuttosto diffuso, sia pure con le debite eccezioni tra le quali compare il segretario del Pd, Enrico Letta, che fin da subito ha saputo profilare una linea precisa e puntuale di solidarietà atlantica e di unità europea che ponesse al centro la questione fondamentale della tutela dei valori e di principi essenziali messi in discussione da Putin con la sua decisione di aggredire l’Ucraina.
Inutile illudersi: nulla tornerà più come prima. Ci sarà un prima e un dopo 24 febbraio 2022. E la data nella quale l’autocrate del Cremlino ha deciso di innescare l’operazione militare nel Donbass è paragonabile dal 22 settembre 1947, quando a Szklarska Poreba Stalin faceva nascere il Cominform, l’organismo di coordinamento politico e ideologico per contrastare il Piano Marshall nei paesi occidentali e coloro che lo sostenevano, a cominciare dai partiti socialdemocratici (i “cani da guardia della borghesia”). Nella presentazione dello strumento, Zdanov lo pose – in sinistra assonanza con le tesi putiniane odierne – come elemento fondamentale “contro il piano statunitense di assoggettamento dell’Europa”.
Oggi come allora, il solco scavato dall’azione moscovita – purtroppo oggi anche militare sul campo e non solo politico- spazza in campo dai terzismi, dagli ammiccamenti, dalle ambiguità nelle quali pezzi talora significativi dell’establishment italiano hanno operato in questi anni.
Sul campo oggi rimangono le due polarità chiare: la democrazia da un lato, l’autocrazia dall’altro. Avevamo già visto all’opera la profonda diversità dell’approccio tra questi due sistemi nella vicenda pandemica, così come i tentativi di influenza e di condizionamento delle opinioni pubbliche occidentali da parte dei sistemi politici autocratici proprio attorno al tema della pandemia.
Ma la vicenda ucraina ha fatto emergere con nettezza che oggi la sfida che abbiamo di fronte, e che corre su una nuova frontiera che scorre dal Baltico al Mar Nero, è imperniata su questo duopolio. La “cortina di ferro” di churchilliana memoria correva da Stettino a Trieste in nome del braccio di ferro tra socialismo reale e capitalismo liberale. Oggi il nuovo Limes messo sul campo trova una vertenza storica tra democrazia liberale da un lato e autocrazia illiberale dall’altro. Dentro la cornice del conflitto tra capitalismo liberale e capitalismo politico descritta da Branko Milanovic, e nella stagione dei “furiosi anni Venti” spiegata da Alec Ross.
È questa la posta in gioco. Il cui peso specifico riarticolerà il sistema politico, il posizionamento dei partiti, l’atteggiamento delle leadership.
E dentro lo shock prodotto dalla guerra, iniziano a prendere corpo suggestioni e obiettivi che apparivano velleitari. Così come lo shock pandemico ha fatto nascere l’Europa della sanità e della salute (senza l’azione della Commissione Europea non avremmo avuto una risposta vaccinale così ampia, e così diversa dalle autocrazie in termini di diffusione e di garanzia universale), lo shock bellico può (aggiungerei: deve!) aprire la strada ad altre due Europe. Quella dell’energia, per emanciparci dalla dipendenza e dal cordone ombelicale che ci tiene vincolati a regimi non democratici, e potenzialmente (o come oggi accade apertamente) ostili. E quella della difesa, per difendere in maniera corale i principi e i valori che sono alla base dell’Unione Europea, e che oggi vengono conculcati e messi apertamente in discussione dai missili su Kiev.
Attaccando l’Ucraina, Putin ha anche attaccato un sistema di valori che lui ritiene decadenti ed obsoleti. Valori che per noi sono l’essenza stessa della nostra identità. E se noi crediamo che la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze non siano “interferenze occidentali” ma elementi essenziali della nostra prospettiva, abbiamo il dovere di tutelarli e difenderli.
Se la politica è trovare la soluzione ai problemi, individuando il senso della prospettiva sulla base di un sistema di valori, allora la fuoriuscita dalla stagione del “neo-cominform” putiniano può davvero essere la nascita dell’Europa dell’energia e della difesa.
Ed è anche per questo che la stagione delle ambiguità è finita.