Nel dibattito in corso intorno al 2% chi si dichiara contrario lo fa sulla base della crisi economica che distoglie da altre priorità, sul supposto che l’acquisto di armi vada a discapito di infrastrutture pubbliche come scuole o ospedali, e chi sostiene che le nostre spese per la Difesa arrivino già al 2% del Pil. Tre visioni confutabili, secondo il vice presidente Michele Nones (Iai) di cui condividiamo la riflessione pubblicata su Affarinternazionali
Difesa e sicurezza sono due esigenze primarie di ogni comunità e sono tratti distintivi e fondativi di ogni Stato. Vale per ognuno dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite perché nei loro rapporti ciascuno cerca di garantire la tutela dei propri interessi, oltre che dei propri cittadini, territorio e valori, contro ogni potenziale minaccia.
Pace, deterrenza e nuove esigenze di sicurezza
Le Forze armate verso l’esterno e le forze di polizia verso l’interno sono gli strumenti per assicurare questa capacità. Nella stessa logica esistono in ogni Stato i Vigili del fuoco per prevenire, quando e dove possibile, gli incendi e spegnerli se scoppiano. Nessuno si lamenta se per svolgere questa attività è necessario destinarvi una parte della spesa pubblica e, anzi, spesso si deve prendere atto che non lo si fa in modo sufficiente. Tutti auspicano che non debbano mai intervenire e, quindi, che siano disponibili, addestrati ed equipaggiati, ma restino nelle caserme perché non ci sono incendi. Se, però, serve devono essere in grado di fare il loro lavoro.
Decenni di pace hanno spinto molti a pensare che le Forze armate fossero ormai inutili e che l’ombrello americano della deterrenza nucleare ci proteggesse adeguatamente. Le guerre si svolgevano in altre parti del mondo e non coinvolgevano l’Italia. Poi improvvisamente la disgregazione della Jugoslavia ha riportato la guerra vicino ai nostri confini e ci ha costretto a intervenire per spegnere un incendio molto, troppo vicino. La consapevolezza che solo intervenendo subito si possono prevenire o fermare le guerre, come gli incendi, ci ha spinto a partecipare ad una serie di missioni militari decise dalle organizzazioni internazionali di cui facciamo parte. Per questo abbiamo pagato un alto prezzo in termini di risorse umane e finanziarie, ma siamo riusciti a farci conoscere nel mondo come un Paese credibile, recuperando, per lo meno in parte, quanto perso a causa dell’inadeguatezza e inaffidabilità del nostro sistema politico. L’affidabilità è alla base dei rapporti internazionali e della stessa deterrenza. Per contrastare una minaccia, bisogna che chi la esercita sia convinto che si ha la capacità e la volontà di reagire. Sono ambedue necessarie, sempre. Ma la prima è comunque il presupposto della seconda, altrimenti è semplice velleitarismo.
Un dibattito surreale
Il dibattito in corso in questi giorni in Italia ha un che di surreale. L’incendio divampa nel cuore dell’Europa, demolendo, insieme a uno sfortunato Paese, anche i sogni e le illusioni sull’impossibilità di una nuova guerra tradizionale nel Vecchio Continente. Improvvisamente i Paesi europei si rendono conto della loro debolezza militare e, in parte, anche politica. Stanno provando a esercitare la loro forza economica per dissuadere la Federazione russa dal proseguire l’azione militare, ma questo tipo di pressione richiede, comunque, molto tempo e la popolazione ucraina non ne ha. Tutti si domandano quanto potrà ancora durare la guerra in corso e fin dove potrà arrivare, ma nessuno può rispondere. Di sicuro, però, è diffusa l’impressione che non ci siamo fatti trovare preparati. Tutte le Forze armate europee mancano, seppure in modo differenziato e a macchia di leopardo, di equipaggiamenti moderni e, quando ci sono, spesso di adeguata manutenzione, di personale addestrato, di capacità di operare insieme, di efficaci catene comuni di comando. Quello che c’è è grazie alla Nato. In Italia sembra, però, mancare anche una sufficiente cultura della sicurezza e della difesa. E così, nonostante l’incendio in corso, qualcuno sostiene che non dobbiamo spendere per la difesa quello che spendono gli altri Paesi, e in particolare quelli simili a noi.
La prima “giustificazione” sarebbe che attraversiamo una grave crisi economica e che abbiamo altre priorità. Ma lo stesso vale per tutti i Paesi europei. E se tutti facessero questa scelta l’Europa non sarebbe in grado di esercitare nessuna deterrenza e resterebbe esposta a ogni tipo di minaccia. Per altro, quando nel 2014 ci siamo impegnati ad arrivare al 2% del Pil entro il 2024, la nostra situazione non era diversa e in tutti gli incontri Nato ed europei i nostri presidenti del Consiglio, ministri degli esteri e della difesa hanno ribadito l’impegno italiano in questa direzione (anche quelli che poco prima discettavano sull’uscita dell’Italia dalla Nato e/o dalla Ue).
La seconda riguarda il supposto massiccio acquisto di armi a discapito di scuole, ospedali, ecc. La realtà è, invece, che oltre a sostituire vecchi equipaggiamenti con altri moderni e più efficienti, il previsto incremento delle spese per la difesa servirà a curare la manutenzione e fare i tempestivi aggiornamenti dei mezzi in servizio, a sostenere i programmi di ricerca e sviluppo, a consentire un continuo ed adeguato addestramento del personale militare, a favorire un costante ricambio generazionale per mantenere bassa l’età media, a costituire e mantenere forze di riserva da utilizzare nei momenti di necessità. Tutto questo si rifletterà positivamente sullo sviluppo economico e sociale a favore di tutta la società, ma la vera ragione per farlo è che solo così garantiremo le nostre capacità di difesa e sicurezza.
La terza, per altro in contrasto con le altre due, suona come una presa in giro. Giocando con i numeri si prova a negare l’evidenza, sostenendo che la nostra spesa per la difesa arriva già quasi al 2% (mentre è ancora all’1,5%). Ma quando si fanno i confronti statistici, i calcoli devono essere fatti con la stessa metodologia. Non si può barare sommando alcune spese per l’Italia e non per gli altri Paesi. Tentare di farlo in ambito internazionale ci ha già esposto al ridicolo come, quando, avremmo voluto considerare le spese per la sicurezza cibernetica di tutto il sistema informatico pubblico.
Una scelta di campo
Tutti sanno che la capacità militare non dipende solo dalla quantità della spesa. Per fortuna anche la qualità gioca un ruolo fondamentale e l’Italia ha più volte dimostrato che, comunque, le nostre Forze armate hanno potuto fino a ora garantire un certo livello di protezione e una significativa capacità di operare dove necessario. Ma ora l’incendio è troppo grande e vicino: garantire loro quanto necessario non è solo doveroso, ma nell’interesse di tutti i cittadini. Ed è nell’interesse dell’intero Paese dimostrare la nostra affidabilità a partner e alleati perché la reciproca fiducia è la premessa di ogni alleanza, politica o anche militare.