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La Difesa europea? Non con questa bussola. Parla Camporini

La Bussola strategica indica una strada da percorrere, ma siamo lontani dall’avere un’agenda chiara, spiega ad Airpress il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa. Inoltre, permangono i dubbi sul reale significato di autonomia strategica, e senza una definizione chiara, sarà difficile fare reali progressi verso una dimensione europea della Difesa

Sulla Bussola strategica permane il dubbio sul significato da attribuire ad “autonomia strategica”. Se intesa come inserita nel quadro di una politica transatlantica o se invece del tutto alternativa. In quest’ultimo caso, sarebbe una “scelta assolutamente velleitaria, e verrebbe meno quella comunità di Paesi, di popoli, che credono nella democrazia”. Ad Airpress, il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, fa un bilancio di quanto contenuto nello Strategic compass.

È stato approvato lo Strategic compass. C’era molta attesa introno a questo documento, che avrebbe dovuto fornire una bussola per l’Europa. La montagna ha partorito un topolino?

Un topolino forse no, ma certo siamo ancora ben lontani dall’avere un’agenda chiara, delineata e concreta per dove vogliamo andare. Il problema rimane sempre quello della concordanza di vedute tra i 27 Paesi membri, ciascuno dei quali ha le sue linee programmatiche, non sempre coincidenti con quelle degli altri. In definitiva, quindi, abbiamo un documento che comunque indica una strada, ma è una strada che presenta numerosi ostacoli e in ogni caso molto lunga da percorrere

La Bussola strategica sembra smentire la linea italiana, che ha sempre posto la Difesa del Vecchio continente all’interno del quadro transatlantico? Sembra più un esercizio di velleitarismo nel momento storico che viviamo?

Più che smentita la linea italiana, il punto fondamentale è che ci sono visioni diverse tra i vari Paesi dell’Unione europea, circa i rapporti internazionali fondamentali. La questione ruota intorno a quale significato vogliamo attribuire al concetto di “autonomia strategica”. Quindi, se per autonomia strategica intendiamo la capacità di agire autonomamente nel quadro di una politica comune transatlantica, va bene, è una posizione che sento di poter anche sostenere, ed è la posizione sostenuta dal governo italiano. Se invece per autonomia si intende una capacità di poterci sganciare dal rapporto transatlantico per agire in modo assolutamente differenziato, potenzialmente addirittura in contrasto, lo scenario è insostenibile. Da un lato sarebbe una scelta assolutamente velleitaria, e dall’altro verrebbe meno quella comunità di Paesi, di popoli, che credono nella democrazia, nel rispetto della legge, e nel rispetto dei diritti umani. Così come, tra l’altro, è scritto anche nel preambolo del Trattato dell’Atlantico del nord, un bellissimo pezzo di letteratura diplomatica troppo spesso dimenticato.

Nello specifico, quali sono le misure che hanno più deluso? I 5mila uomini della Forza di reazione rapida sono insufficienti?

Il numero di unità previste nella Forza europea è una misura ridicola. Primo, perché già esiste nel quadro degli accordi europei una forza comparabile a quella evocata, i Battle Group. Nessuno, infatti, li ha mai formalmente sconfessati – e di conseguenza sono, teoricamente, ancora attuali – ma che soprattutto nessuno si è mai sognato di impiegare in una operazione. Le dimensioni di questa Forza di reazione rapida sono più o meno dello stesso ordine di grandezza, che non consente di fare operazioni se non di tipo simbolico. Vorrei ricordare che oggi per mantenere l’ordine all’interno del Kosovo (un Paese poco più grande dell’Umbria) la Nato schiera 3800 uomini. Quindi stiamo parlando di una forza più o meno analoga. Mi domando se questa è la massima ambizione dell’Unione europea.

Per quanto riguarda i rapporti con la Nato, e con gli altri Partner internazionali, sono delineati concretamente dal documento dell’Ue?

Direi di no. E non lo sono proprio per quella mancanza di chiarezza sul significato di “autonomia strategica”. Questo concetto è destinato a strutturare in modo univoco sia il rapporto con la Nato, sia il rapporto con tutti gli altri partner. Se non si riesce a chiarire questo aspetto, sarà difficile fare progressi. Già in passato ci sono stati in Europa dei retropensieri che alla fine hanno impedito concreti passi in avanti. Voglio augurarmi che questa mia perplessità sia dovuta a una cautela dovuta al passato, e che le intenzioni realmente espresse nel documento siano altre. Sarò felice se i miei timori dovessero dimostrarsi infondati.

Come giudica l’indicazione di rafforzare le capacità comuni di Intelligence attraverso la Eu Single Intelligence Analysis Capacity?

Le capacità di Intelligence sono uno degli elementi-chiave del concetto di “sovranità nazionale”. Già solo per questo i Paesi sono estremamente gelosi nel mettere le loro capacità in comune. Se questo passo verrà effettivamente compiuto, allora avremo veramente imboccato la strada della “ever closer Union”. Osservo soltanto, dal punto di vista semantico, che la EU Single Intelligence Analysis Capacity si riferisce esclusivamente a una capacità di analisi delle informazioni. Il problema è: come arrivano le informazioni. Se queste, una volta raccolte, sono condivise senza remore dai Paesi membri dell’Ue, allora avremo effettivamente una capacità di analisi congiunta. Ma il problema è se le informazioni vengono fornite, qualcosa che, fino adesso, non è affatto garantito.

Quali avrebbero dovuto essere i contenuti di valore che il documento non contiene?

L’ampliamento, se non esclusivo quasi, del concetto di maggioranza qualificata.

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