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Eroi senz’ombra. Perché ricordare i caduti dell’intelligence

A Forte Braschi la giornata della memoria dei caduti dell’intelligence, presente lo Stato e il comparto. L’autorità delegata Gabrielli: persone che hanno dedicato la vita al Paese, tanti cliché negativi sono scorciatoie per le coscienze

Nicola Calipari, Pietro Antonio Colazzo, Vincenzo Li Causi, Lorenzo D’Auria. Caduti, poi conosciuti. A chi lavora nell’intelligence, tra gli altri, è chiesto anche questo sacrificio. Niente riflettori, niente talk show, libri firmati o serate di gala. A dispetto di un cliché che ancora si fa strada nel racconto pubblico, la vita di un agente operativo è davvero di “servizio”, nomen omen.

“Eroi” li chiama Franco Gabrielli, sottosegretario e autorità delegata per l’intelligence, quando li ricorda a Forte Braschi martedì mattina. Alla giornata della memoria per i caduti del comparto, istituita nel 2017 dall’allora governo Gentiloni, presenzia in grande schiera lo Stato. La direttrice del Dis Elisabetta Belloni, i direttori delle agenzie Aisi e Aise, Mario Parente e Gianni Caravelli, i ministri di Interni ed Esteri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, il ministro dell’Economia Daniele Franco e il presidente del Copasir Adolfo Urso. Con loro i parenti delle vittime, come Rosa Calipari, vedova di Nicola, caduto in missione in Iraq nel 2004, alla cui memoria ha dedicato la sua vita dentro e fuori le istituzioni.

LA GALLERY DELLA COMMEMORAZIONE

“Chi è un eroe?”, si chiede Gabrielli dopo aver osservato insieme ai colleghi del comparto un minuto di silenzio. “Abbiniamo spesso la parola eroe a situazioni che attengono all’ordinarietà. Ci sono eroi per caso, persone che mai immaginerebbero di esserlo. Poi ci sono eroi che servono il Paese in contesti complicati, dove distinguere tra la vita e la morte non è più solo un’immagine retorica”.

Il sottosegretario li cita uno ad uno, per nome. Colazzo, caduto in Afghanistan in un assalto dei talebani, nel 2010, una vita nell’Aise. Li Causi in Somalia con il Sismi, nel 1993, medaglia d’oro al valore. Nel Sismi era anche D’Auria, sequestrato in Afghanistan e poi ucciso nel 2007, impegnato con l’Italia nella missione internazionale Isaf.

“Operavano in circostanze nelle quali è estremamente percepibile la condizione di pericolo, rendevano servizio al loro Paese. La loro presenza in quei contesti è il presupposto della nostra sicurezza”. Uomini e donne, dice Gabrielli, che in passato ha guidato il Sisde (oggi Aisi), “abituati a vivere nell’ombra, fuori dai riflettori e dalla considerazione pubblica, troppo spesso destinatari di considerazioni che rappresentano la cattiva coscienza di ognuno di noi”.

Il pensiero va al tamburellìo mediatico, di ieri e di oggi, sui luoghi comuni, quasi sempre negativi, che circondano il comparto intelligence. Fra questi, l’immagine dei “servizi deviati” che tanto fascino ha avuto nel dibattito pubblico repubblicano. “Solo il nostro Paese è riuscito a coniare questa locuzione. Non c’è vicenda opaca, strana, che in qualche modo interroghi negativamente le nostre coscienze a cui non si affianchi. Come se chi opera nell’intelligence, donne e uomini che rendono un servizio con l’analisi, la raccolta di informazioni e la gestione di teatri complessi, vivano la loro esistenza non al servizio del Paese ma per tramare contro la sua sicurezza”.

Nessun bavaglio, aggiunge il sottosegretario, perché c’è stato eccome chi ha macchiato la divisa, ma non di rado facendosi “portatore di una decisione o un’indicazione deviata”, appunto. “Sempre comodo, per acquetare la nostra coscienza, attribuire ad altri responsabilità ascritte a chi ha competenze politiche”, dice Gabrielli.

Che poi dedica un pensiero a chi, in queste ore, è sul fronte a rischiare la vita “a poche centinaia di chilometri” di distanza. In Ucraina, spiega l’autorità delegata, precedendo il discorso del presidente Volodymyr Zelensky a Montecitorio, non solo “donne, bambini, anziani perdono la vita” ma “si sta mettendo in discussione i principi fondanti delle nostre democrazie”.

Tra le bombe di Kiev e Mariupol, come in tanti teatri di guerra, c’è chi ha lavorato e lavora per il Paese senza rilasciare interviste o apparire in video, ma correndo gli stessi rischi. Ricordare chi è caduto, conclude Gabrielli, “chi ci ha insegnato una strada ma soprattutto il modo di percorrerla”, è tanto più un modo di omaggiare chi ha seguito le stesse orme.

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