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Etica, guerra giusta e difesa armata in Ucraina. La versione di D’Ambrosio

Nessuno mette in dubbio il “no alla guerra” sia su base cristiana, sia su base civile, tuttavia penso che vadano fatti dei distinguo fondamentali. Stiamo parlando di una guerra di aggressione di un Paese, la Russia, nei confronti di un altro Paese, l’Ucraina. È legittimo difendersi da parte dell’Ucraina? Certo che sì! La riflessione di Rocco D’Ambrosio

Le guerre sono sempre sinonimo di morte, disordine e confusione. Eppure riflettere, insieme e in gruppo, è un dovere e anche una via per costruire pace. Esprimo personali considerazioni sui dubbi di alcuni settori, laici e cattolici, sull’eticità della difesa armata del popolo ucraino. Nessuno mette in dubbio il “no alla guerra” sia su base cristiana, sia su base civile (art. 11 della Costituzione), tuttavia penso che vadano fatti dei distinguo fondamentali. Stiamo parlando di una guerra di aggressione di un Paese, la Russia, nei confronti di un altro Paese, l’Ucraina. È legittimo difendersi da parte dell’Ucraina? Certo che sì! La legittima difesa di un popolo è l’estensione della legittima difesa personale: se non ho altro mezzo per difendermi da chi mi aggredisce devo usare la forza. C’è un passo di Agostino molto illuminante: “È infatti l’ingiustizia del nemico che obbliga [ingerit] il saggio ad accettare guerre giuste e l’uomo deve dolersi di questa ingiustizia perché appartiene agli uomini, sebbene da essa non dovrebbe sorgere la necessità di far guerra” (La città di Dio, XIX, 7).

Ma può essere giustificata la guerra, tanto da chiamarla, in alcuni casi “guerra giusta”? Molte volte il pensiero cattolico viene travisato per giustificare di tutto e di più in materia di conflitti. Il Catechismo della Chiesa cattolica è molto chiaro in materia: ci sono condizioni che ci possono far parlare di “guerra come legittima difesa con la forza militare. Essa è giustificata solo se sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale”. Dopo aver elencato le condizioni aggiunge: “Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune” (CCC, 2309).

L’aver conservato il riferimento alla “guerra di difesa” non significa il negare la dottrina sulla pace, ma il fornire un’indicazione etica precisa ai governanti, nei casi particolari in cui i popoli sono oggetto d’aggressione “durevole, grave e certa”. Per diversi aspetti esse richiamano la legittimità del ricorso alla lotta armata nei sistemi totalitari, e il suo inequivocabile fondamento etico: c’è un obbligo di giustizia nel proteggere gli oppressi e indifesi anche con le armi, nel caso in cui tutti gli altri mezzi si siano rivelati inefficaci. È il caso, per noi italiani, della Resistenza e lotta al fascismo e nazismo: “L’unica guerra ‘giusta’ (se guerra giusta esiste)… la guerra partigiana”, come scriveva Lorenzo Milani. Un’eco la si trova nella precisazione di Paolo VI, valida per molti simili casi nella storia: l’insurrezione rivoluzionaria è possibile solo “nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese” (Populorum Progressio, 31).

Molte volte viene citato l’invito di Gesù a “porgere l’altra guancia” (Mt 5) e quindi a vivere posizioni radicali di non violenza attiva, con solidi fondamenti biblici e magisteriali. Essi non hanno più valore se si legittima la difesa popolare armata? Esse hanno sempre valore a livello individuale, ma non possono essere estese a livello sociale e politico. Hanno anche valore comunitario se tutti i membri del gruppo, adulti e autosufficienti, decidono di adottare la difesa non violenta. Se, invece, sono responsabili di altri (come genitori, politici, capi di un’istituzione, ecc) devono fare di tutto e legittimamente, anche con l’uso delle armi, per difendere dall’aggressore chi è affidato alla loro responsabilità, specie piccoli, anziani e persone in difficoltà. È un obbligo morale, non solo cristiano, ma anche civile e costituzionale. Su questa linea si inserisce il richiamo all’ingerenza umanitaria, così formulata da Giovanni Paolo II: “Quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Queste tuttavia devono essere circoscritte nel tempo e precise nei loro obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite da un’autorità riconosciuta a livello soprannazionale e, comunque, mai lasciate alla mera logica delle armi” (Pace in terra agli uomini che Dio ama, 1° gennaio 2000).

Infine va ricordato che la legittima difesa popolare con le armi non va applicata in maniera troppo larga, fino a “giustificare indebitamente anche attacchi preventivi o azioni belliche che difficilmente non trascinano mali e disordini più gravi del male da eliminare”, come ricorda papa Francesco (FT, 258). Al tempo stesso non è giusto eticamente abbandonare gli aggrediti, non aiutarli, solo perché ripudiamo le armi.

Come in ogni forma di “malattia istituzionale” (mafie, corruzione, violenza, abusi, patologie personali e di gruppo) anche lo stato di guerra richiede necessariamente “un esercizio costante di ragione, diritto e morale” (G. Ritter).

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