Parla la direttrice dello Iai: siamo nel 1939, l’aggressione di Putin in Ucraina mette l’Europa di fronte a un bivio storico. Bene Germania e Italia sul 2% nella Difesa, qui manca ancora la percezione della minaccia. Austerity? Pietra sopra (per ora)
“2022? No, siamo di fronte a un nuovo 1939. Per questo è un cambio di paradigma”. Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali, non usa i guanti. L’invasione della Russia in Ucraina, i carri armati e i bombardamenti su Kiev “stanno cambiando la storia”. È un domino che va molto oltre l’Ucraina. Forse più in là di quanto Vladimir Putin avesse previsto. “Pensava di poter invadere l’Ucraina e che il mondo gli sarebbe venuto dietro. Invece ha sbattuto contro un muro di una forza che non avrebbe mai previsto o immaginato”, ha tuonato il presidente americano Joe Biden questa notte nel suo “State of the Union”, accolto da un applauso corale del Congresso vestito per l’occasione di giallo e blu.
Dall’altra parte dell’Oceano, dice Tocci, c’è un’altra Unione che serra i ranghi come non ha mai fatto. “Zelensky lo ha detto chiaramente: l’Ucraina è in trincea a respingere un attacco contro l’intera Europa e quel che rappresenta. L’esempio ucraino ricorda all’Ue i valori per cui è nata. È un trigger per una nuova fase dell’integrazione europea. Ora deve arrivare una risposta unitaria e compatta”.
I primi segnali ci sono e raccontano di un cambio di passo storico. “Penso alle sanzioni, con un pacchetto di misure senza precedenti approvato senza veti da tutti gli Stati membri – dice Tocci – ma anche alla decisione di inviare armi letali a un Paese terzo per difendersi”.
Decisione cui si è unita l’Italia, che tra le altre forniture si è impegnata a inviare alla resistenza ucraina attraverso il confine polacco “missili terra-aria Stinger, missili anti-tank, mitragliatrici MG 42/59”. Ma anche la Svezia, che ha rotto un tabù quasi secolare: dal 1939, quando è corsa in aiuto della Finlandia contro l’invasione sovietica, Stoccolma non inviava armi all’estero.
Spiega Tocci: “Sta succedendo l’impensabile. Poco più di una settimana fa, quando era già chiaro che la Russia avrebbe invaso, stavo intervistando la ministra della Difesa tedesca alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Ho chiesto se fosse possibile rivedere la politica delle esportazioni di armi tedesca o il superamento del 2% del Pil in investimenti nella Difesa, lo ha ripetutamente escluso”.
Sembra trascorsa un’era, a riascoltare il discorso al Bundestag del cancelliere Olaf Scholz di domenica scorsa, quando il successore di Angela Merkel ha annunciato l’impegno a superare il tetto del 2% richiesto dalla Nato. Un monito riecheggiato a Montecitorio pochi giorni dopo, con la promessa del presidente del Consiglio Mario Draghi di “investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora”.
“In Italia la sveglia è arrivata con un po’ di ritardo, prevale ancora lo sconcerto per questa situazione – nota la direttrice dello Iai – sicuramente oggi c’è la consapevolezza di quali sono i nostri alleati, manca invece una percezione tangibile della minaccia”. Una spiegazione c’è. “Forse, a differenza della Germania, scontiamo l’assenza di una vera cultura della politica estera e di difesa. Non solo in questo o quel partito, anche nelle istituzioni, nei media, nell’opinione pubblica. Speriamo che i fatti di Kiev siano una wake-up call”.
C’è un’altra sveglia risuonata in Europa che rimbomba anche in Italia. Due anni di pandemia hanno dato un duro colpo alla dottrina dell’austerity e ai suoi alfieri più convinti. Con la guerra in Ucraina quel colpo rischia di rivelarsi fatale. “Per il momento la crisi mette una pietra sopra l’austerity, ma il problema non sparisce del tutto – chiosa Tocci – Prima o poi dovremo affrontare seriamente il nostro debito: dalle riforme non si scappa”.