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#Fermatevi! L’appello fondativo di una nuova cultura di Civiltà Cattolica

Dicendo “fermatevi” si parla con loro, con i russi, con la loro storia, la loro civiltà, le incomprensioni che lamentano e con la loro coscienza, la loro responsabilità. Ma si parla anche a noi, forse soprattutto a noi, chiedendoci di non farci tifosi delle nostre ideologie, ma amici dei popoli. La riflessione di Riccardo Cristiano sull’appello lanciato da padre Spadaro, direttore della rivista dei Gesuiti

L’appello de La Civiltà Cattolica e l’accorata esortazione del suo direttore, padre Antonio Spadaro, a condividere sui nostri social media un hashtag che dice “fermatevi”, (#fermatevi) , può a mio avviso essere considerato e definito un appello fondativo di una nuova cultura, o auspicabilmente di un nuovo movimento per la pace.

La parola prescelta, “fermatevi”, è stata presa dall’Angelus di papa Francesco nel quale, dopo aver detto che quella in atto in Ucraina non è, come dice Mosca, un’operazione militare speciale, ma una guerra, ha aggiunto “fermatevi per favore”. Il riferimento al mare di sofferenze che tutti vediamo è stato un tratto caratteristico e ovvio nel discorso di un papa che si richiama sempre alla necessità di toccare la realtà. Dico che questo appello è fondativo di una nuova cultura, per la pace, perché la cultura che fonda non è ideologica, come parte di quella pacifista e di quella bellicista. E per spiegarmi comincio col soffermarmi sull’importanza di quel che non dice.

Per prima cosa è evidente che in una guerra di aggressione si deve fermare chi aggredisce. Ma qui non si punta l’indice su un uomo per criminalizzare un popolo o una storia, si esprime con assoluta chiarezza la richiesta di fermare l’aggressione ma senza giudicare la storia, senza ergersi a giudici inappellabili del vero e dell’erroneo, del giusto e dello sbagliato. Piuttosto si chiede a tutti noi di riconoscere la realtà, e toccandola non possiamo confondere l’aggredito e l’aggressore. Chi incappi in una zuffa per strada non sa chi l’ha cominciata, vede due persone che si picchiano e gli dice “basta, fermatevi”. Qui è diverso. L’immagine usata rappresenta una persona sola, che si porta le mani sugli occhi.

Questa nuova cultura per la pace si può scegliere se si sceglie di non ergersi a giudici eterni dal proprio salotto, da dove stabilire tutti i piani leciti ed i sogni impossibili: questa necessità la producono, a mio avviso, ideologie preoccupate di adeguare la realtà alla propria interpretazione della realtà. Qui invece si sceglie di costruire la pace, infatti non si dice “fermiamoli”. No. Non si sposta il problema sul piano impossibile della presunzione idealista di poter sconfiggere definitivamente con le forze del bene le forze del male. Ma non si dice neanche “arrendetevi”. Non ci si piega cioè al principio che non c’è resistenza possibile e quindi che la vita vale più della libertà, soprattutto se è quella degli altri. Chi ha parlato di dittatura sanitaria per un Green Pass davanti al Covid è invitato a considerare cosa significhi davvero “dittatura”.

Le realtà qui diventano finalmente loro, le vittime nella realtà, quelle rimaste nel buio in tutte le altre guerre di cui non si è parlato perché non era comodo, ci portava fuori dai paradigmi, o ci portava nel nuovo paradigma della guerra-terrorismo, quello che è stato degli Stati Uniti e oggi è della Russia. Lo slogan di denazificare l’Ucraina è un tentativo che viene respinto al mittente perché equivale a tanti precedenti tentativi, dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria allo Yemen, di raccontarci una guerra tra un “noi” e un loro, tutti “terroristi” allora come tutti nazisti oggi. Non è così!

Dicendo fermatevi si parla con loro, con i russi, con la loro storia, la loro civiltà, le incomprensioni che lamentano e con la loro coscienza, la loro responsabilità. Ma si parla anche a noi, forse soprattutto a noi, chiedendoci di non farci tifosi delle nostre ideologie, ma amici dei popoli.

E qui per me quel “fermatevi” fa emergere la scarsa simpatia per un popolo a livello di opinione pubblica. Grazie a questo “fermatevi” mi sento obbligato a guardare principalmente al mio mondo, quello dal quale provengo. E chiedo: perché le bandiere curde ci sono familiari e quelle ucraine ci sono estranee? Qualcuno direbbe ai curdi “arrendetevi ai turchi”? Chi direbbe agli afghani di arrendersi ai talebani per sopravvivere? Dire ai turchi o ai talebani “fermatevi” sarebbe la cosa giusta, o no? Lo sarebbe non solo per unirci nella solidarietà con chi ha diritti calpestati, ma anche per non dissetarci nella definitiva condanna.

Chi oggi parla di tagliagole jihadisti che arrivano in Ucraina (mercenari ingaggiati dai russi) compie l’ennesimo scempio. Questo epiteto vale solo per che viene da Paesi islamici devastati da guerre rimosse? Ma questa vergogna ci porterebbe lontano, troppo lontano dal cuore di questo appello fondativo di una nuova cultura per la pace. La cultura per la pace non sente il bisogno di giudicare e condannare altre culture, altre civiltà, altri popoli. Non si astrae in altre sofferenze per fustigare il suo stesso campo. In questo appello semplice, radicato nel presente, c’è la richiesta di uscire dal Novecento, scegliendo di stare con la realtà, vedendola, toccandola, senza pretese di superiorità o antagoniste.



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