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Battiato, la Storia e la musica. Parla lo scrittore Ferracin

Il senso della Storia, lo scrivere in versi, il rapporto con Franco Battiato, il ricordo di Tolkien. Intervista all’intellettuale e scrittore veneto Francesco Ferracin

Si ha oggi l’occasione di intervistare Francesco Ferracin, scrittore per Newton Compton editore (Una vasca di troppo) e storico collaboratore di Franco Battiato, il quale ha messo in musica il suo poema L’incubo della farfalla, il cui testo uscirà in questi giorni, edito da Linea edizioni, 2022.

È un momento intenso per parlare di anima, biografia, Storia e musica.

Come i politologi, si potrebbe richiamare l’espressione “la fine della Storia”. La Storia non è finita, come possiamo osservare in questi giorni. E nella Storia entra sempre il vissuto personale, non a caso il testo cui allude lei è una sorta di diario autobiografico, in cui si mischiano un mio passato reale e un io passato fittizio. All’epoca della mia giovinezza terminava la guerra di Bosnia, e quindi si era nel pieno contesto del blocco occidentale. Vi sono sempre dei ritorni storiografici. In realtà basterebbe pensare alla Jugoslavia, alla Bosnia, ai Croati: ventisette anni fa, una generazione, non si è così lontani.

E la sua vita, la sua biografia, come si innesta nel suo pensiero? Che cos’è l’incubo della farfalla?

È un’opera autobiografica in tutti i sensi: parlo della mia gioventù e delle anime che sono in me. Stiamo parlando anche della mia ombra: la mia parte oscura. Si tratta di un viaggio spirituale, lungo il tempo; eppure non uso un approccio di tipo filosofico. Piuttosto, il metodo è quello della metafora, della poesia e prosa, per schermarmi e dare un senso di trascendenza. Procedo per immagini e suoni, a fine di trasmettere il mio sentito.

Chi sono i destinatari di queste esperienze?

Io parlo con il pubblico, ma ho anche l’idea un po’ romantica di voler essere letto per poter raggiungere i pochi realmente in grado di capire; intrattengo coloro che non riescono (per volontà o mezzi), ma è anche vero che io mi rivolgo a un certo tipo di persone. Io li chiamo fratelli, nello spirito. Trovo molto presuntuoso farlo in maniera cerebrale: non voglio usare la lingua, o l’etimologia, in maniera filologica, per un approccio elitario. Bisogna comunicare con tutti: solo così facendo, si riesce a pieno in questo intento democratico. Io scrivo in tre lingue (italiano, inglese e tedesco): il desiderio è quello di espandere il verbo. C’è attualmente una sorta di settarismo nella letteratura, e per questo non sono io la voce narrante in questo testo, non necessariamente. Preferirei un settarismo democratico: non esclusivo, non è una questione di codici segreti. È come quando ti trovi davanti a un quadro, qualcosa dentro ti strizza lo stomaco. Quando ascolti un pezzo musicale, sei portato al pathos o alle lacrime: sai che è così, perché lo capisci nel profondo. Non tutti possono dipingere come Michelangelo, comporre come Beethoven; questo è il bluff di chi non ha niente da dire. Io ho scritto per molti anni cose che ho avuto il piacere di redigere, ma che non sentivo particolarmente mie. Scrivere gialli ha senz’altro appagato una parte di me, quella zona un po’ aggressiva, così tipica del mondo in cui viviamo. Uno scrittore deve prestare la sua penna a qualsiasi genere possibile, se non altro per soddisfazioni estetiche. Potrei in un certo senso richiamare Kierkegaard: “chiedetemi tutto, ma non di dare spiegazioni”.

Ci parli della sua amicizia con Franco Battiato, scomparso a maggio scorso.

Anzitutto Franco ha musicato L’incubo della farfalla, spettacolo andato in scena al Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo in alcune serate del maggio 2013. È stato registrato e ora riposa tra i suoi tanti inediti. Le letture sono state svolte da Giulio Brogi, mentre Battiato suonava il pianoforte assieme al suo storico collaboratore Carlo Guaitoli. Quanto alla mia amicizia con lui, se uno vuole credere nel destino, o sincronicità in questo senso, sembra che tutto quanto abbia portato in quella direzione. Quando ho conosciuto Battiato… Beh, ho il coraggio di dire quanto segue: è chiaro che quando ti confronti con un genio, ti senti inadeguato. È un po’ la paura di tutti gli scrittori e gli artisti, ovverosia il reale confronto con i Maestri passati. Ma vi è anche il coraggio (richiamato da Thomas Mann) di non farsi intimorire da questi Maestri. Ma quando sono vivi, è difficile! Trovandomi di fronte Battiato, la mia prospettiva è cambiata. Quando si parlava assieme di “ritorno”, ebbene egli mi ha fatto ripercorrere quello che ho affrontato e vissuto. Non a caso, Franco mi ha chiesto di lavorare a un film su Händel. È stato lui a dirmi di usare la mia voce, di non avere il timore di perdermi: di non provare mai inadeguatezza semantica, di non disdegnare il vivere in esilio, di confondere appositamente le lingue, in poche parole di abbracciare questa molteplicità. E anche di liberarsi di queste catene dei generi, ovverosia il poter scrivere quello che tu vuoi. Quando il testo è andato in scena, mi ha fatto emozionare, ma anche vergognare. Mi sentivo un po’ nudo, dopo. Grazie al cielo, è stata la musica di Battiato a donare lustro a quel momento. Di fatto, questo Incubo della farfalla è un’opera musicale, l’ho pensata in musica e scritta in versi, come una soundtrack. La prima parte è quella biografica, gli anni del risveglio; si incrociano diverse parti di me. La parte II è basata sull’ascolto di Schubert e sulla mia esperienza formativa in Germania, e vi sono anche alcune riflessioni storiche sulla Guerra fredda. Vi erano profughi di quella guerra, che noi facevamo finta di non vedere, nonostante le tante manifestazioni. Io ho fatto il militare e so che la conflittualità esiste. A proposito di pacifismo, la guerra crea timore, perché ad essa è collegata la possibilità di morire. È realismo fattuale. Poi la parte III, sulla figura citata dell’Elfo tolkieniano, e la parte IV, quella più criptica, in cui si tirano le conclusioni delle prime tre parti.

Per concludere, giova appunto qui richiamare la sua passione per Tolkien, di cui nel 2022 ricorre l’anniversario della nascita (nel 1892 a Bloemfontein) e l’anno prossimo quello della morte (1973); qual è l’importanza attuale del grande scrittore e filologo britannico, oggi?

Tolkien è fondamentale: con lui ho un rapporto personale sin dalla mia infanzia, dal momento che – guarda caso – sono nato nel 1973, l’anno in cui lui è morto. Questo Autore ci ricorda da dove veniamo, oltre che il potere e l’importanza della fantasia per completare la nostra esistenza umana. Tolkien, affermava che, come un ipotetico creatore prima di noi, noi sub-creatori abbiamo il diritto di creare, in quanto riflesso della creazione. Tolkien ci ricorda che la guerra è parte di noi, che non si fanno compromessi con il Male. Che non esiste la diplomazia; sì, esiste quella raffinata e diplomatica di origine machiavellica, ma per i teologi, ad esempio, non c’è il compromesso con il maligno: è necessario tagliare la testa al serpente. Così vale per gli orchi della Terra di Mezzo. E lo si ritrova in altri Autori, quale ad esempio Kipling. Nell’educazione dei ragazzi dev’esistere un’etica chiara e precisa: bisogna insegnare a distinguere il bene dal male, distinzione da non lasciare mai al relativismo morale, che, come tale, è arbitrario.


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