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L’Italia può liberarsi della morsa energetica russa. Fortis spiega come

Intervista all’economista della Cattolica e direttore della Fondazione Edison. Basta coi piagnistei, il gas che ci serve prendiamolo altrove o tiriamolo fuori dai nostri fondali. Riscrivere il Pnrr? Tempo perso, il vero nemico dello sviluppo e dell’indipendenza energetica è la burocrazia

 

Un’Europa libera dalla schiavitù del gas russo è possibile. Ma a un prezzo piuttosto alto. Sono giorni cruciali per il futuro energetico del Vecchio Continente, a un bivio tra la storica dipendenza da Mosca e lo sganciamento dalle forniture russe. La guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina ha drammaticamente accelerato quel processo di emancipazione che presto o tardi sarebbe dovuto cominciare. L’inflazione, esplosa nell’area euro al 5,8% nel mese di febbraio (a fine 2022 si prevede un tasso del 3,5%, mentre in Italia il tasso è al 5,7%, ai massimi dal 1995) sulla spinta dei rincari delle materie prime, gas in testa, sembra non lasciare scampo.

O l’indipendenza energetica, magari anche a mezzo eurobond, o la lenta ma inesorabile dissoluzione prima dei consumi privati, e quindi della domanda, poi del sistema industriale. E allora, dice a Formiche.net Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, non c’è un minuto da perdere.

Una premessa. Il conflitto in Ucraina, scatenato dalla Russia, arriva al termine, si spera, di due anni di pandemia. Quanto è grave la situazione?

Questa escalation non è certamente positiva, anche perché in questo momento l’Europa avrebbe avuto bisogno come il pane di un periodo di tranquillità per proseguire la fase di ripresa economica successiva al Covid. Tuttavia non è semplice proiettare gli effetti di questo conflitto sull’economia, anche perché non sappiamo quale esito avrà, né quanto potrà durare.

Navighiamo a vista, insomma. E senza bussola…

Diciamo che la situazione è molto magmatica e non è certo un momento in cui gli economisti possano sedersi a un tavolo per fare delle previsioni canoniche come si fanno in tempi normali. Se è difficile fare delle previsioni, lo è meno immaginare cosa possiamo fare per sopravvivere.

Fortis, la domanda del momento è però questa: l’Europa riuscirà mai ad essere indipendente dalla Russia e il suo gas?

Difficile dirlo, certamente non è facile. Parliamo, di approvvigionamenti importanti, non certo di qualche metro cubo di gas. Però vede, dobbiamo un momento ribaltare il punto di vista.

Ovvero?

L’Europa non è tutta uguale, c’è chi ha più o meno bisogno del gas russo. Ai francesi, per esempio, che hanno il nucleare, il gas interessa poco. La Spagna ha sia l’atomo sia una grande capacità di ricevere navi cariche di Gnl. L’Olanda ha molto petrolio, grazie al Mare del Nord e così anche la Gran Bretagna, che ha sia idrocarburi, sia nucleare. Questo per dire che l’Europa è fatta di tante anime e tanti fabbisogni. Vuole sapere chi sta messo peggio?

Tiro a indovinare. L’Italia?

Anche, insieme alla Germania. Diciamo la verità, siamo stati miopi a non attrezzarci per tempo. Adesso i nodi sono venuti al pettine e dobbiamo trarne delle conseguenze. Di certo non dobbiamo piangerci addosso dopo che per anni non abbiamo investito nella diversificazione, rimanendo ostaggi di una burocrazia dal sapore ideologico.

Ecco appunto, i nodi al pettine. Proviamo a fare gli ottimisti, che si fa? 

Adesso bisogna diversificare, ma sul serio. Oggi persino aprire una drogheria è complicato in questo Paese. Dobbiamo smetterla di guardare agli investimenti come opera del diavolo. Lo sa che la Edison, che copre circa il 20% del fabbisogno di gas, dipende dalla Russia solo per il 7%? Ecco, questo è l’esempio, grazie al terminale di Rovigo che porta il gas dal Qatar. Allora dico, svegliamoci, questo Paese può ridurre la sua dipendenza dalla Russia, diversificando le infrastrutture, cercando gas altrove e spingendo sulle rinnovabili. Ma dobbiamo volerlo, fino in fondo.

Scusi, ma allora ha ragione il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, quando afferma che parte del Pnrr va riscritto in chiave energia…

Il discorso è un altro, non riscrivere il Pnrr ma le regole per sbloccare gli investimenti in seno al piano stesso. Quella è la vera svolta, oggi se non hai 100 autorizzazioni non vai da nessuna parte, le pare normale, scusi? Allora facciamo un po’ di ordine, se vogliamo energia nostra dobbiamo riscrivere la burocrazia. Mi spieghi che senso ha fare un Pnrr bellissimo se poi non posso fare una centrale perché qualche sindaco si incatena a un palo.

Lo sa che mentre io e lei parliamo molte imprese fermano la produzione perché non ce la fanno a pagare le bollette?

Guardi che non è che siamo messi male solo noi, tutta l’Europa lo è. Però anche qui, un po’ di chiarezza. All’Italia non manca la competitività, ma la domanda. Con le bollette che aumentano, coi fertilizzanti sempre più cari, sa cosa succederà? Che crolleranno i consumi, imprese e famiglie non compreranno più. Questo è il vero problema.

Non è per fare l’avvocato del diavolo, però Europa comunque la transizione la vuole sul serio. A Bruxelles sono pronti anche appositi eurobond per finanziare lo sganciamento da Mosca. 

Guardi, questa parola l’ho sentita spesso. Gli eurobond vanno bene, ma facciamoli erga omnes. Non mi piace che ci siano gli eurobond per l’energia, per la difesa, per la transizione. Servono eurobond e basta, come i treasuries americani, che sono emissioni di titolo senza un cappello sopra.



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