Pragmatici, disillusi ma non pessimisti: i giovani italiani per l’80% si dichiarano fiduciosi nel futuro. Sarebbe il caso di dare loro una mano, per evitare che la disillusione diventi la nuova condanna delle risorse future del nostro Paese
Di emergenza in emergenza (dalla pandemia alla guerra) è lecito distrarsi dalle emergenze ormai strutturali? Buon senso vorrebbe che proprio sull’urgenza imposta dalle crisi si potessero ribaltare le abitudini peggiori assunte nel passato. Tra le prime: il disinteresse sostanziale per la condizione giovanile. Non parlo di sociologia, parlo di società. L’Italia rischia di essere destinata a un declino irreversibile finché non porrà attenzione alle nuove generazioni. “Giovani, non fermatevi e non scoraggiatevi, prendetevi il futuro”, ha detto Sergio Mattarella nel suo ultimo discorso da Capo dello Stato.
Ma sotto gli appelli, niente? Niente. Il governo ha annunciato nei giorni scorsi un Piano Neet Working, che per ora ha solo aggiornato i dati preoccupanti di quella popolazione giovanile (tra i 15 e i 34 anni) che non studia e non lavora, i Neet, l’acronimo inglese di (Young people) Neither in Employment or in Education or Training, o anche “Not (engaged) in Education, Employment or Training”. L’esercito degli inattivi, insomma, particolarmente ricco di arruolati in Italia.
I Neet italiani sono ormai più di 3 milioni, pari a una percentuale del 25,1% dei giovani di quella fascia d’età. Dopo la Turchia (33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%), nel 2020 l’Italia è stato il Paese con il maggior tasso di Neet in Europa (che ha una media del 15%).
Il nostro Paese presenta sostanziali differenze a livello regionale. L’Italia, come sempre, risulta divisa in due macro-blocchi: la zona centro-settentrionale, che è in linea o al di sotto della media europea, e la zona del Mezzogiorno, in cui si evidenziano le maggiori criticità, con picchi del 28-30% di Neet in Calabria e Sicilia.
Fra i Neet c’è una prevalenza femminile di 1,7 milioni di individui. In Italia una donna su due non lavora e il 25% delle ragazze con meno di 30 anni non lavora, non studia e non cerca un’occupazione: delle 8,6 milioni di donne in questa condizione in Europa, un terzo appartiene all’Italia. Con il crescere dell’età c’è un progressivo sbilanciamento della quota che passa dal 45% della fascia d’età più giovane (15-19 anni) al 66% di quella più matura (30-34 anni). Un problema acuito dalla cura della casa e dei figli: nel 2020 in Italia il 26% delle donne Neet è madre, a fronte del ben più esiguo 2% dei padri.
Il Piano del governo – diciamolo – non induce a grande ottimismo. Gli strumenti operativi proposti sono sempre gli stessi: Garanzia Giovani rinforzata e Sportelli Giovani nei Centri per l’Impiego, campagna informativa itinerante del Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale. Più o meno la stessa “cassetta degli attrezzi” che a detta di molti osservatori, in testa a tutti Alessandro Rosina, che dal 2013 osserva il fenomeno, ha provocato il disastro. L’inefficienza delle politiche attive per il lavoro in generale e nello specifico quelle rivolte ai giovani, sono indicate come i fattori che hanno moltiplicato l’effetto dei Neet in Italia: i Centri per l’impiego inefficaci, Garanzia Giovani inadeguata, il progetto alternanza studio-lavoro spesso ostacolato e reso sempre meno operativo.
Non c’è da stupirsi se il 29% dei ragazzi italiani vedono il loro futuro all’estero. L’ultimo dato emerso è quello fotografato dall’Osservatorio Politiche giovanili della Fondazione Bruno Visentini. Solo poco più del 70% dei ragazzi intervistati (in età tra i 14 e i 19 anni) immagina il proprio futuro in Italia nel 2030. Un futuro prossimo: il 2030 è domani. L’11,5 per cento pensa addirittura di doversi trasferire fuori dell’Europa per costruirsi un futuro adeguato alle proprie aspettative.
A conferma del fallimento delle politiche attuate fin qui, solo il 43% dei ragazzi dichiara di aver partecipato ai “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (l’ex alternanza scuola-lavoro). Meno della metà ha utilizzato uno dei più recenti strumenti disegnati per collegare la fase di educazione e formazione con quella dell’impiego. Eppure, i due terzi di quel 43% ha manifestato soddisfazione per le attività svolte.
Secondo un’altra indagine diffusa in questi giorni – a cura di Skuola.net con la collaborazione della Fondazione Elis – perde appeal la laurea. Circa il 20% dei ragazzi intervistati dopo la maturità punta a trovare presto un lavoro, cercando subito un impiego (8%) oppure seguendo un corso professionalizzante non universitario (10%) come gli ITS o gli IFTS. Le persone altamente specializzate infatti sono le prime protagoniste di quel mismatch tra aziende e figure professionali che non si trovano che agita il mondo del lavoro in Italia. Tra coloro che invece hanno in programma di andare all’università il 19% – e tra i maschi la percentuale sale fino al 26% – cambierebbe idea se venisse a conoscenza di un percorso alternativo capace di garantire ampie possibilità di collocamento e opportunità di carriera.
Pragmatici, disillusi ma non pessimisti: i giovani italiani per l’80% si dichiarano fiduciosi nel futuro. Sarebbe il caso di dare loro una mano, per evitare che la disillusione diventi la nuova condanna delle risorse future del nostro Paese.