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Guai a scherzare con le politiche fiscali. La versione di Piga

L’economista e docente a Tor Vergata: il governo ha cambiato troppe volte idea sul disavanzo, in questo modo si crea il caos tra famiglie, imprese e investitori che hanno bisogno di fidarsi dell’Italia e delle sue finanze. La Bce? Impossibile un paragone con la Fed, ma forse sarebbe meglio pensare più alla crescita e meno all’inflazione

E pensare che dopo dieci decreti di emergenza e 180 miliardi di nuovo deficit pandemico (al 7,2% del Pil, nel 2021), quella parola sembrava ormai consegnata ai libri di storia dell’economia. Eppure lo scostamento di bilancio, lo spazio di manovra sui conti grazie al quale finanziare nuova spesa senza maggiori entrate fiscali, sta per tornare.

Lo ha chiesto il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, quello dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli e persino Daniele Franco, responsabile del Tesoro che più che una richiesta ha fatto una timida apertura all’ipotesi di nuovo deficit. Stavolta il nemico è forse meno subdolo ma non per questo meno temibile: l’inflazione che tutto divora accesa dalla guerra in Ucraina e la crisi energetica, che richiede solidi investimenti per sganciarsi presto o tardi dalla Russia. Non potendo aumentare le tasse, serve campo libero, o quasi, sui conti pubblici. Gustavo Piga, economista e docente a Tor Vergata, la vede però in controluce.

“Io direi che non è il caso di continuare a fare della finanza ballerina, con numeri che cambiano in continuazione. Abbiamo chiuso il 2021 con un deficit al 7,2%, quando il progetto del governo era qualcosa di molto diverso”, mette subito in chiaro Piga. “Faccio un esempio. Ad aprile 2021, il governo Draghi, nel Def, aveva comunicato che data la difficoltà che si prevedeva per l’anno, il deficit-Pil sarebbe stato pari all’11,8%. Poi, a fine settembre questa cifra è stata corretta nella Nota di aggiornamento al 9,4%. E infine, come comunicato dall’Istat pochi giorni fa, abbiamo scoperto che il disavanzo del 2021 è sceso in rapporto al Pil al 7,2%”.

Di qui una prima conclusione. “Tutto questo vuol dire essenzialmente due cose. Primo, abbiamo l’evidenza che il governo ha scelto volontariamente di non immettere nel sistema economico, mediante investimenti, circa 100 miliardi di euro e questo ci aiuta anche a capire perché torniamo ai livelli di Pil pre-Covid più tardi di altri Paesi. E secondo, se continuiamo a comunicare numeri che cambiano nei documenti di aggiornamento dei nostri conti, gli investitori non capiranno più nulla di come vanno le finanze italiane. Non si scherza con le politiche fiscali”.

“Non possiamo pensare di andare avanti con questi cambi di politiche fiscali. Forse avremmo dovuto investire prima per evitare questi giochi di prestigio sul nostro deficit”, precisa ancora Piga. “Non dobbiamo mai dimenticare che sia il Def, sia il suo aggiornamento, sono degli strumenti di comunicazione, che creano delle aspettative, non solo per chi investe e finanzia il debito di questo Paese ma anche per famiglie e imprese. E se vengono sottoposti a continue modifiche su cifre così importanti si crea un danno enorme di credibilità per questi stessi strumenti”.

Piga si sofferma anche sull’atteggiamento della Bce dinnanzi alla spirale inflattiva in atto, in tutta Europa. “Dobbiamo distinguere l’atteggiamento prudente della Banca centrale europea dalla Fed, che ha ben altri numeri. Mi pare abbastanza evidente che Christine Lagarde non sia una fan sfegatata del whatever it takes, tuttavia vorrei chiarire una cosa. Mi piacerebbe che ogni tanto si parlasse più di crescita e meno di inflazione. Perché se non c’è crescita è peggio di una spirale dell’inflazione. Molto meglio fare Pil e crescere e creare posti di lavoro e investire che preoccuparsi dalla mattina alla sera dell’aumento dei prezzi”.

 

 

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