Dietro i bombardamenti, gli incendi, le armi, c’è la storia di persone che subiscono violenza, distruzione e morte. È l’agghiacciante scenario di sofferenza descritto dalle giornaliste che raccontano la guerra. Donne che ricercano l’anima negli eventi raccontando la tragedia umana raggiungendo il cuore. Tra divari, lotta contro pregiudizi e stereotipi, lunga è la storia delle donne inviate di guerra
Donne in fuga. Donne che restano e impugnano le armi. Donne giornaliste inviate di guerra. Centinaia di bambini uccisi, mutilati, armati, deportati o salvati dalla solidarietà internazionale.
Tutti raccontano l’orrore della guerra russo-ucraina. Tra cronaca, immagini strazianti, commenti e opinioni, da circa un mese, le donne resistono, comunque, con coraggio.
Le immagini esprimono uno sgomento planetario.
Sono già storia indelebile la foto di una madre uccisa con i propri figli, pubblicata dal New York Times, e quella di un bambino morto tra le braccia del padre. Donne incinte uccise, ferite, donne che partoriscono nei sotterranei, una madre sopravvissuta ai bombardamenti che allatta il figlio, dopo averlo protetto dalle schegge con il proprio corpo. Un bambino di 11 anni, con zainetto, passaporto e numero di telefono scritto a penna sulla mano dalla madre, che affronta, da solo, una traversata per la vita lunga mille chilometri. Strage di civili in ospedali pediatrici, scuole, infrastrutture. Nelle città sotto assedio, corpi di russi e ucraini sono insieme nelle fosse comuni. Tutto resterà scolpito nella memoria, personale e collettiva.
Vittime del conflitto anche le donne e i bambini in salvo nei Paesi europei. Per loro, incertezza, disorientamento e un futuro oscuro. Dignità e compostezza sono nei loro volti. In un viaggio promesso dalle madri come una lunga vacanza ma che ha, da sùbito, il senso di un inferno.
È una guerra che colpisce il mondo nella sua essenza. Una profonda frattura per la democrazia e la pace che ha già mutato la stessa percezione della vita. Devastante l’impatto sull’economia, la politica, le istituzioni. Violenza, nuovi dolori e rancori fanno, ora, più paura della pandemia.
Uno scenario percepito con paura e ansia, impotenza e frustrazione, da un’umanità già fragile. Da combattere, dicono gli esperti, attraverso tecniche di meditazione o scrivendo su carta le emozioni negative e limitando l’esposizione eccessiva ai media. Con una certezza: “La paura guardata in faccia si trasforma in coraggio”, secondo l’insegnamento dei Sumeri, migliaia di anni fa.
Una riflessione importante che brucia l’illusione di poter controllare tutto attraverso la ragione e significa cambiamento. Guardare prima ai sentimenti e alle emozioni. Riconoscere i propri limiti annullando, se necessario, asserite “certezze” e comportamenti superficiali, anche nelle dinamiche interpersonali. E’ un insegnamento possibile?
Nel Pianeta si combattono attualmente decine di guerre ma l’Europa trema per la crisi russo-ucraina. Una minaccia troppo vicina per lasciare indifferenti e con immediate ricadute sui mercati e sugli approvvigionamenti energetici.
Difficili i negoziati internazionali per una guerra che, secondo gli osservatori, potrebbe durare ancora a lungo. Anche dopo le armi. Ma l’Europa e l’Alleanza atlantica sono compatte nella difesa dei diritti umani e della libertà. La Russia isolata da gravi sanzioni economiche e finanziarie. Sequestro dei beni degli oligarchi russi. Indagine della Corte internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti di Vladimir Putin, su richiesta di 39 stati membri, tra cui l’Italia, per crimini commessi dal 2013 ai danni di civili inermi. Rappresentanti russi esclusi dal Parlamento europeo. La geopolitica internazionale muta i suoi equilibri.
L’Italia offre sempre maggiore sostegno e vicinanza al popolo ucraino, come affermato, con forza, dal Presidente del Consiglio Draghi al Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj davanti al Parlamento italiano.
Una catena di solidarietà dall’Italia, pur minacciata, è la risposta all’odio. Associazioni ma anche famiglie offrono accoglienza e ospitalità. Per migliaia di profughi, misure di protezione temporanea, accesso a lavoro e istruzione. La bimba ucraina che la madre sceglie di far nascere nel nostro Paese ha il nome “Vittoria”. Un nome che significa speranza, vita, futuro.
Papa Bergoglio fa visita ai bambini feriti e ricoverati all’Ospedale Bambin Gesù. Accorato il suo costante appello perché si ponga fine a una guerra che definisce “un massacro insensato” per il quale non c’è giustificazione. Il 25 marzo consacra, in comunione con tutti i vescovi del mondo, l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Evento spirituale e diplomatico.
Per l’Italia, l’emergenza di guerra è anche un colpo all’economia nazionale, in ripresa nel 2021. Si riduce la previsione del Pil e sale l’inflazione. Misure di sostegno a imprese e famiglie, a causa dell’aumento dei prezzi, e rivalutazione delle priorità del Pnrr, pilastro di rinascita per il Paese, sono sul tavolo del Governo Draghi.
E proprio alla fine dello stato di emergenza, fissato al 31 marzo, con l’allentamento progressivo delle misure restrittive, la nuova variante Omicron 2 manifesta un tasso di contagiosità molto elevato che richiede prudenza. In un contesto in cui 4,5 milioni di italiani non sono vaccinati, 7 milioni non hanno ricevuto la terza dose e i profughi hanno una protezione vaccinale molto bassa (30%).
Intanto la copertina di Time ritrae una bambina che sorride. Simbolo della tragedia ma anche della resilienza dell’Ucraina.
Mentre le piazze europee chiedono, con forza, la pace e si intensifica la mediazione per un possibile dialogo, sono tante anche le donne che vivono la guerra da vicino come inviate. La raccontano, con professionalità e coraggio, in un contesto che è guerra di informazione.
Dietro i bombardamenti, gli incendi, le armi, c’è la storia di persone che subiscono violenza, distruzione e morte. È l’agghiacciante scenario di sofferenza descritto dalle giornaliste che raccontano la guerra. Donne che ricercano l’anima negli eventi raccontando la tragedia umana raggiungendo il cuore.
Tra divari, lotta contro pregiudizi e stereotipi, lunga è la storia delle donne inviate di guerra.
Relegate, nel passato, nella cronaca rosa e leggera, nella moda, in decaloghi per la gestione della casa e della famiglia. E, ancor oggi, la presenza femminile ai vertici del giornalismo, secondo i dati del Digital New report 2020, registra una forbice rispetto a quella maschile (40% la consistenza percentuale delle donne ma solo il 23% ricopre posizioni apicali).
Eppure, reportage femminili di guerra erano già presenti nel Risorgimento come nella prima e nella seconda guerra mondiale. Una narrazione, con risultati professionali d’eccellenza, alimentata dalle mille sfumature della sensibilità femminile.
Nel 1800 prende la scena Margaret Fuller Ossoli, prima corrispondente di guerra in Italia per il New York Tribune. Racconta le vicende politiche del nostro Paese, attraversato dai moti rivoluzionari e alla vigilia delle guerre per l’indipendenza del 1846. Autrice del libro “Woman in the Nineteenth Century”, prima grande opera femminista negli Stati Uniti. A Roma, a Piazza Barberini, una targa ne ricorda la memoria.
Clare Hollingworth, inviata del Daily Telegraph, è la donna che fece lo scoop del secolo, annunciando, nel 1939, l’invasione tedesca in Polonia. Una singolare personalità descritta da alcuni aneddoti. Birra a colazione, dormiva con scarpe, passaporto e zaino pronti per una possibile partenza, in un teatro di guerra. Nell’autobiografia “Front Line”, Hollingworth racconta che, nel 1940, inviata in Romania, riuscì a evitare l’arresto per censura governativa facendosi trovare nuda.
Nel 1914, la trasgressiva scrittrice e attrice teatrale Colette (pseudonimo di Sidonie-Gabrielle Colette), già redattrice di Le Matin, accompagnando a Verdun il marito, barone Henry de Jouvenel des Ursins, svela il fenomeno, allora sconosciuto, delle spose al fronte costrette a vivere nascoste per non essere rimandate a casa. Autrice della raccolta di saggi “Le ore lunghe”, è osservatrice non neutrale contro il regime tedesco.
Sul fronte serbo, tra il 1914 e il 1915, Elizabeth Jane Cochran (con lo pseudonimo di Nellie Bly), è la prima donna a girare il mondo da sola nell’800. Si fece rinchiudere in manicomio fingendosi malata di mente per documentare il trattamento disumano riservato alle pazienti. Pioniera del giornalismo sotto copertura e simbolo dell’emancipazione femminile, ha detto: “Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio cuore. E mai lo farò”.
Sul fronte francese, Edith Wharton, classe 1862, è la prima donna premio Pulitzer della Storia, e Peggy Hull (pseudonimo di Henrietta Eleanor Goodnough Deuell) è la prima corrispondente femminile accreditata dal Dipartimento di guerra degli Stati Uniti, inviata nella prima e seconda guerra mondiale. E, poi, Alice Schalek, sul fronte austriaco durante la grande guerra, e Mary Roberts Rinehart, corrispondente sul fronte belga e francese.
Marguerite Higgins, Premio Pulitzer nel 1951, è tra le più importanti reporter di guerra del Novecento. Inviata durante la seconda guerra mondiale nel 1944, espulsa in quanto donna durante la guerra di Crimea e poi riammessa, morì nel 1966 ad appena 45 anni a causa della leishmaniosi contratta durante un reportage.
Il racconto di guerra, dunque, non è mai stato un mestiere per soli uomini.
Rigore, professionalità e profonda umanità sono il valore aggiunto della sensibilità femminile e del cuore, con il potere delle parole e delle immagini. Accanto alle donne che impugnano le armi, a quelle sotto i bombardamenti e a quelle in fuga dall’orrore, in un viaggio di speranza con i propri figli.
Filmati e fotografie vanno oltre le parole. Attraversano l’anima. Donne “armate” solo della macchina fotografica, in prima linea, con coraggio, sensibilità e professionalità, fissano immagini agghiaccianti, sofferenze e drammi umani da non dimenticare.
È Oriana Fallaci la prima corrispondente italiana. In Vietnam dal 1967 al 1975, racconta la guerra “inutile e sciocca, la più bestiale prova d’idiozia della razza terrestre”. Capace di una narrazione decisa e di forte emozione, milioni di copie di libri venduti nel mondo. Nel 1968 pubblica “Niente e così sia” dal diario del suo primo anno vissuto in guerra, “Premio Bancarella” nel 1970.
E oggi, Giovanna Botteri, tra le prime corrispondenti di guerra, storico volto Rai e icona dell’informazione, è in presa diretta in teatri di guerra e eventi internazionali, dal crollo dell’Unione Sovietica all’assedio di Sarajevo, dal G8 del 2001 alla rivolta anti Assad. E poi in Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libano, Siria, Turchia. Ha cambiato la narrativa della guerra con una nuova prospettiva. Comunicare al mondo, attraverso le storie umane, cosa significhi vivere l’orrore della quotidianità in un Paese in guerra.
Epilogo drammatico per Ilaria Alpi, assassinata, a Mogadiscio, nel 1994, a soli 33 anni, insieme al cineoperatore Miran Hrovatin. Una morte ritenuta connessa all’indagine su traffici illeciti di armi e rifiuti tossici legati alla guerra civile in Somalia. E così per Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera, uccisa a 39 anni in Afghanistan tra Jalalabad e Kabul, nel 2001.
Carmen Lasorella, per dieci anni inviata di guerra, è la prima italiana in Medio Oriente per il Tg2. Inviato speciale e corrispondente Rai dal Golfo Persico, dall’Africa e dalle Americhe, è vittima di un agguato a Mogadiscio, nel 1995, nel quale perde la vita Marcello Palmisano, amico e compagno di lavoro. Ancora inviata in Ruanda, Zaire, Uganda e Tanzania per un reportage sui “laghi del sangue”, racconta il genocidio del 1994.
Durante l’operazione per la liberazione di Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto, rapita, nel 2005, dall’organizzazione per la Jihad islamica a Baghdad, viene ucciso, al suo fianco, l’agente dei servizi segreti Nicola Calipari.
Volto noto di inviata di guerra Rai è, ancora, Lucia Goracci, nei territori siriani, iracheni, afghani, turchi e nella crisi russo-ucraina.
Nell’invasione dell’Ucraina, è Monica Maggioni – unica cronista aggregata all’esercito statunitense durante la seconda guerra del Golfo, in Iraq, nel 2003, e poi in Afghanistan, nel 2009 – direttrice del Tg1, a coordinare il lavoro delle giornaliste Rai dai vari fronti di guerra raccogliendo racconti da città bombardate e popolazioni in fuga.
Solo per citarne qualcuna, Stefania Battistini, Emma Farné, Maria Grazia Fiorani, Francesca Mannocchi, Monia Venturini. Cecilia Sala è la prima “inviata podcast” italiana. Intervista, filma e registra con il solo telefonino. Una nuova frontiera del giornalismo, fruibile su tutte le piattaforme audio.
Sono decine i conflitti, oggi, nel mondo. Nessuno è accettabile.
Edith Bruck, ebrea ungherese deportata e sopravvissuta alla guerra, lo ricorda con la sua testimonianza: “Se si vuole vivere non si deve mai odiare. Non c’è una guerra giusta”.
La musica e la bellezza dell’arte sono protagoniste del messaggio di pace. Simbolo di speranza e resilienza.
Toccante l’immagine di Irina Maniukina, pianista ucraina che, nella desolazione della sua casa bombardata, suona Schubert al suo pianoforte, miracolosamente intatto, prima di abbandonarla.
Il pianista Davide Martello, di origine italiana residente in Germania, porta la musica al confine con la Polonia suonando per i profughi. La melodia delle note contro il rumore delle bombe.
La musica ambasciatrice di pace, strumento per unire e raggiungere i cuori in ogni angolo del Pianeta. Anche dei “Grandi” del mondo.
Due giovani musiciste, una russa e una ucraina, Oxana Tchijevskaya e Alexandra Syrkasheva, salgono sul palco del “Bravo Caffè” di Bologna, insieme, con un progetto musicale ideato dal Maestro Teo Ciavarella. Oltre “Imagine” di John Lennon e “What a wonderful world” di Louis Armstrong, Alexandra Syrkasheva interpreta il testo intitolato “Mir”, da lei stessa composto che, in ucraino e russo, significa “pace”.
E il pianista Davide Locatelli, a Milano, testimonia la sua solidarietà suonando al pianoforte di fronte al Consolato Generale d’Ucraina.
Dal Padiglione Italia dell’Expo 2020 Dubai, dopo un tour in varie città italiane, è il jazzista Paolo Fresu a diffondere il messaggio di pace della musica, in concerto al Millennium Amphitheatre insieme agli artisti della Tuk Music.
Potente il messaggio della mostra “Mediterraneo frontiere di pace 2022. Non vi si pensa quanto sangue costa” al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. A confronto, per la prima volta, le tre Pietà di Michelangelo Buonarroti: l’originale della Pietà Bandini appena restaurata e i calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini provenienti dai Musei Vaticani. Sublimi incarnazioni del genio, vicine in una sorta di difficile dialogo. Metafora della condizione umana.
È un percorso di bellezza e, insieme, di maturazione spirituale, in cui l’artista indaga sul dolore dell’uomo e lo fa proprio. E, dal cuore e dallo scalpello di Michelangelo, la Pietà Rondanini, l’opera “non finita” e “imperfetta”, invita a riflettere, oggi più che mai, oltre il compiuto, il visibile e il perfetto, di fronte al mistero che avvolge l’umanità impaurita. Quale rifugio e quale speranza per un orizzonte di pace?