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Il futuro dopo l’invasione russa secondo Larry Fink

Nella sua lettera annuale agli azionisti, il numero uno di BlackRock condanna l’aggressività di Mosca e traccia le linee per il futuro: più monete digitali e una transizione energetica alla portata di tutti i cittadini

La fine della globalizzazione, una svolta per le valute digitali e la necessità di una transizione energetica alla portata di tutti. Nella lettera annuale agli azionisti Larry Fink, numero uno di BlackRock, elenca le conseguenze più importanti della guerra in Ucraina. Non per la sua società, perché in quello che definisce “un brutale attacco da parte della Russia” l’impatto sarà minimo non avendo “mai effettuato investimenti significativi in Russia per la stragrande maggioranza dei nostri portafogli”. Piuttosto, a risentirne sarà l’intera comunità dato il cambiamento che dovrà affrontare “nei decenni a venire in modi che non possiamo ancora prevedere”.

Già con la pandemia le relazioni tra Stati, aziende e perfino persone erano state messe a dura prova, esacerbando il sentimento estremista che covava all’interno della società. L’invasione russa non ha potuto che peggiorare questa situazione, ma dall’altra ha messo in luce la risposta dei governi di (quasi) tutto il mondo contro l’imperialismo di Vladimir Putin. Hanno imposto sanzioni, “incluso il passo senza precedenti di impedire alla banca centrale russa di dispiegare le sue riserve di valuta”. A loro si è aggiunto il settore privato, con poche aziende che hanno deciso di mantenere i rapporti con Mosca mentre la stragrande maggioranza ha fatto i bagagli. Il simbolo di questa fuga è stato McDonald’s che, emblema dell’americanismo che fece il suo ingresso in Russia non appena si dissolse l’Urss. Ma tutte le aziende che hanno preso la stessa decisione hanno dimostrato “l’impegno a operare coerentemente con i valori fondamentali”.

Anche BlackRock ha fatto il suo, impegnandosi per “sospendere l’acquisto di qualsiasi titolo russo nei nostri portafogli attivi o indicizzati”. Si dice orgoglioso di come la sua società ha risposto presente di fronte all’emergenza umanitaria, aiutando gli ucraini in fuga dalle bombe, e di aver contribuito ad isolare la Russia dai mercati finanziari. “Nelle ultime settimane ho parlato con innumerevoli parti interessate, inclusi i nostri clienti e dipendenti, che stanno tutti cercando di capire cosa si potrebbe fare per impedire che il capitale venga distribuito in Russia”. Inoltre, l’azienda numero al mondo dell’asset management sta consigliando i suoi clienti in base alle informazioni che riesce a reperire ma, avverte con sincerità, è “impossibile prevedere con precisione quale strada prenderà questa guerra”.

Quello di cui è certo è invece la spinta che darà alle valute digitali. “La guerra”, continua Fink, “spingerà i Paesi a rivalutare la loro dipendenza dalle valute. Anche prima della guerra, diversi governi stavano cercando di giocare un ruolo più attivo nelle valute digitali e di definire i quadri normativi sotto i quali operano. La banca centrale statunitense, per esempio, ha recentemente lanciato uno studio per esaminare le potenziali implicazioni di un dollaro digitale statunitense”. Questa accelerazione verso sistemi di pagamento digitale avrà il grande merito di “migliorare il regolamento delle transazioni internazionali riducendo il rischio di riciclaggio di denaro e corruzione. Le valute digitali possono anche aiutare a ridurre i costi dei pagamenti transfrontalieri, per esempio quando i lavoratori espatriati inviano i guadagni alle loro famiglie. Poiché vediamo un interesse crescente da parte dei nostri clienti, BlackRock sta studiando sia le valute digitali, sia gli stablecoin e le tecnologie sottostanti per capire come possono aiutarci a servire i nostri clienti”.

Inevitabile, poi, una considerazione sul futuro energetico. La dipendenza da Mosca ha mostrato le fragilità che comporta una dipendenza se non totale quantomeno indispensabile. Man mano che si utilizzeranno sempre meno gas e petrolio russo, l’impatto sul settore energetico sarà “significativo”, come dimostrano i prezzi al rialzo – su cui pesa la mano degli speculatori. Per tale ragione, “la sicurezza energetica è entrata a far parte della transizione come una delle massime priorità globali”. Gli investimenti sulle rinnovabili vanno in questo senso ma, sottolinea come già gli era capitato in passato, “può funzionare solo se equa e giusta”. Insomma, trovare soluzioni alternative e sostenibili è un obbligo per i governi, specie per quelli che non dispongono di risorse proprie, ma “i prezzi dell’energia a questo livello stanno anche imponendo un terribile onere a coloro che non possono permetterselo”.

Tesi che trova la sua ragion d’essere nell’inflazione galoppante, che già in rialzo da prima dell’invasione (negli Usa ha raggiunto il record storico del 7,5%). Attualmente “nell’Unione Europea, in Canada e nel Regno Unito, l’inflazione è superiore al 5%. I salari non hanno tenuto il passo e i consumatori ne sentono l’onere poiché devono far fronte a stipendi reali più bassi, bollette energetiche in aumento e costi più elevati alla cassa dei negozi di alimentari. Ciò è particolarmente vero per i lavoratori a basso salario che spendono una parte maggiore del loro salario per beni essenziali come gas, elettricità e cibo”. Senza un abbassamento di questi livelli, conclude Fink nella sua lettera, non ci sarà una vera transizione.

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