Skip to main content

Così Israele ospita la diplomazia del Mediterraneo allargato

Incontri tra Paesi del Golfo e del Mediterraneo, con gli Usa presenti, per costruire un insieme diplomatico regionale che affronti le sfide del momento: su tutte l’Ucraina e il Jcpoa

Un vertice tra la leadership diplomatica di Israele, Stati Uniti, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco sarà ospitato tra domenica e lunedì a Gerusalemme e segnerà la prima volta che lo Stato ebraico fornisce le proprie stanze per incontri del genere. Un segno di come le relazioni internazionali e intra-regionali nell’area del Mediterraneo allargato siano in continua evoluzione.

Quello che era inimmaginale fino a qualche anno fa è adesso realtà. L’occasione è l’anniversario degli Accordi di Abramo con cui l’amministrazione Trump ha spinto per normalizzare le relazioni tra Israele e quei Paesi arabi presenti all’incontro, ma la portata è più ampia. Al fondo c’è una generale volontà di dialogare che esce dalla regione. Necessità di innescare diamiche interne anche collegata alla volontà americana di disimpegnarsi.

Al vertice saranno presenti Yair Lapid, il ministro degli Esteri israeliano padrone di casa, e gli omologhi baherenita, emiratino e marocchino, più il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che in quei giorni sarà impegnato in un tour diplomatico tra Israele e Palestina che lunedì lascerà per dirigersi in Marocco e Algeria. Per Blinken ci sarà l’occasione di un incontro con Abdullah bin Zayed Al Nahyan, il capo delle diplomazia di Abu Dhabi, che inizialmente doveva essere una tappa delle visita mediorientale dell’americano poi saltata.

Questa settimana, lunedì 21 marzo 2022, c’è stato un altro incontro importante sul quadro della composizione di un insieme diplomatico che dal Golfo arriva fino al Nord Africa – dimostrazione di come il concetto di Mediterraneo allargato sia in questa fase storica più funzionale che mai. Il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, ha effettuato una visita di stato a Sharm el-Sheikh per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, e il principe ereditario emiratino, Mohammed bin Zayed.

Questi incontri hanno come contingenza temporale e di sfondo la guerra di Putin in Ucraina, che ha prodotto pressioni americane sugli Emirati (e sull’Arabia Saudita) per aumentare la produzione di petrolio al fine di ridurre l’impatto di un deficit di gas russo, e sta creando timori di carenze alimentari in paesi come Egitto e Marocco, che si basano in parte sulle importazioni di grano dalla Russia e dall’Ucraina.

Israele, nella persona del primo ministro Bennett, si è impegnata direttamente per cercare una via di uscita alla crisi militare che ha prodotto già migliaia di morti e milioni di profughi. In forma meno diretta anche gli emiratini e i bahreniti hanno avuto contatti con Mosca per cercare di ottenere un quadro della situazione (e perché no un ruolo nei contatti diplomatici). L’effetto a cascata di quanto sta succedendo in Ucraina potrebbe farsi sentire pesantemente in regioni come quella mediorientale, generalmente più sensibile a subire una ricaduta negativa da certe dinamiche.

Contemporaneamente c’è un altro grande tema di fondo: la ricomposizione dell’accordo nucleare Jcpoa con l’Iran, dal 2019 in stato di sospensione dopo il ritiro degli Stati Uniti deciso dall’amministrazione Trump. Una nuova intesa potrebbe produrre l’alleggerimento delle sanzioni su Teheran e il ritorno iraniano sulla scena economica internazionale. Lo stato ebraico e le monarchie sunnite del Golfo, che considerano la Repubblica islamica sciita nemico esistenziale, temono che questo flusso di denaro che tornerà in Iran e questa riqualificazione nella sfera internazionale possa finire per essere sfruttata a proprio vantaggio dai Pasdaran. L’unità militare teocratico si muove come uno Stato nello Stato ed è il motore di un’internazionale di milizie sciite. Queste unità hanno spesso attaccato sia Israele sia i Paesi del Golfo. Gli Stati Uniti vogliono rassicurare gli alleati che quando questo accadrà di nuovo ci sarà spazio per risposte militari nonostante il Jcpoa.


×

Iscriviti alla newsletter