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Polvere di stelle. Il complesso rapporto tra potere e spazio

La minaccia di abbandonare la Stazione spaziale internazionale dimostra come il capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos sia ansioso di compiacere lo zar Putin. Una mossa simile il suo predecessore Komarov, che si era guadagnato il rispetto degli americani, non l’avrebbe mai fatta. Il commento di Andrea Zanini, già portavoce del presidente dell’Asi

Le scomposte dichiarazioni di Dmitry Rogozin, capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, che in un tweet del 26 febbraio minacciava di lasciare l’astronauta statunitense, Mark Vande Hei, nello spazio sono molto gravi e per più di una ragione. La prima – e più evidente – è che il solo minacciare di non collaborare in un ambiente ostile, difficile e molto pericoloso come lo spazio è qualcosa di totalmente avulso dalla realtà quotidiana della Stazione Spaziale Internazionale (Iss).

Tutti gli astronauti, tutti quelli ci lavorano dai diversi centri di controllo a Terra, hanno sempre sottolineato il clima di grande, fruttuosa e convinta collaborazione che ha contraddistinto le operazioni della ISS da quando è operativa. I rapporti tra gli astronauti di diverse nazioni, spesso in conflitto, che lavorano spalla a spalla nel piccolo avamposto umano che viaggia a oltre 24mila km orari a circa 400 chilometri di distanza dalla terra, sono un esempio di collaborazione che ha tenuto anche in altri momenti difficili delle relazioni tra i maggiori “azionisti” della ISS, russi e americani.

Eppure il ritorno programmato sulla Terra per l’astronauta statunitense è stato messo in discussione dopo che il presidente americano Biden aveva annunciato sanzioni alla Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. Mark Vande Hei, che detiene il record per il volo spaziale più lungo, terminerà i suoi 355 giorni nello spazio a breve, dopodiché dovrebbe atterrare in Kazakistan con due cosmonauti su una navicella spaziale russa.

Intanto, in questa situazione surreale, i cosmonauti continuano ad addestrarsi presso la struttura della Nasa a Houston e l’agenzia aerospaziale statunitense – per ora – non ha fatto commenti. Anzi, dopo le dure dichiarazioni in cui Biden preconizzava che le sanzioni tecnologiche nei confronti del settore spaziale russo indeboliranno l’industria e il programma spaziale di Mosca, la Nasa era intervenuta per raffreddare la tensione rassicurando i russi sul fatto che l’agenzia continuerà a supportare le operazioni in corso in orbita. Vedremo.

Intanto bisogna registrare che la Iss non è più quel tavolo diplomatico permanente dove Mosca e Washington si sono sempre parlate. Le proteste non si sono però fatte attendere. L’astronauta statunitense Caty Coleman ha detto che astronauti americani e cosmonauti russi condividono l’obiettivo di esplorare lo spazio, “un obiettivo non cambia se siamo sulla Terra o viviamo sulla stazione spaziale”. Tra i più arrabbiati l’ex astronauta della Nasa Scott Kelly che è stato un accanito oppositore dell’invasione, esprimendo spesso il suo disappunto per l’aggressione russa tramite Twitter e per giunta in russo (tutti gli astronauti che visitano la Stazione Spaziale Internazionale devono parlare inglese e russo).

Kelly nei suoi messaggi ha attaccato non solo la decisione di Putin di invadere l’Ucraina ma anche Roscosmos e il suo capo, Dmitry Rogozin, che a sua volta ha risposto con insulti e alla fine lo ha bloccato su Twitter. Le parole di Kelly hanno influenza, e non solo perché sono in russo. L’astronauta ha infatti volato a bordo della navicella spaziale russa Soyuz in due dei suoi tre viaggi alla stazione spaziale e ha completato una missione di un anno a bordo del laboratorio orbitante con il cosmonauta russo Mikhail Kornienko da marzo 2015 a marzo 2016. Imprese che gli hanno fatto guadagnare una medaglia per il volo spaziale russo.

Ma ora la vuole ridare indietro: “Signor Medvedev (ex primo ministro, ex presidente e attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza russo ndr) le restituisco la medaglia russa per meriti nell’esplorazione spaziale che mi ha consegnato, ha twittato Kelly mercoledì. “Per favore, la dia a una madre russa il cui figlio è morto in questa guerra ingiusta”.

Il secondo motivo per cui il capo di Roscosmos ha commesso uno strafalcione è che indipendentemente dalla retorica, né gli Stati Uniti né la Russia vogliono perdere la Stazione Spaziale Internazionale. Il suo assemblaggio ha richiesto più di 40 missioni di volo spaziale, per lo più operate dallo space shuttle della Nasa e dopo due decenni la stazione rimane la base dei programmi di volo spaziale umano sia degli Stati Uniti che della Russia.

Per la Nasa e gli Stati Uniti, la perdita della stazione spaziale significherebbe la confisca di oltre 100 miliardi di dollari investiti nello sviluppo della struttura, senza contare gli investimenti per l’approvvigionamento e il funzionamento della stazione. E questo vale anche per la Russia, seppur con grandezze diverse. La Iss è stata utilizzata per una miriade di scopi e soprattutto come piattaforma per condurre più di 2.500 esperimenti scientifici per testare la capacità umana di vivere nello spazio. Infine, negli ultimi anni, la stazione ha anche servito da incubatrice per spazi commerciali. Gli Stati Uniti hanno di gran lunga l’industria spaziale commerciale più grande e robusta del mondo, guidata da SpaceX, e la maggior parte di questa attività non esisterebbe oggi senza l’esperienza della Stazione Spaziale Internazionale.

C’è poi un’altra ragione che ci fa capire la gravità di questo cambiamento russo nei confronti della collaborazione sulla Iss e – allo stesso tempo – costituisce anche la premessa delle dichiarazioni di Dmitry Rogozin: fino al maggio del 2018, infatti, Roscosmos era guidata da ben altra personalità, ossia quell’Igor Komarov, in carica dal 2015, che si era guadagnato il rispetto dei colleghi a livello internazionale. Komarov, imprenditore, manager ed economista, uomo anche con un passato politico, ad un certo punto è stato fatto fuori per ragioni che non si conoscono.

Una delle ipotesi è che nonostante appoggiasse Putin non era abbastanza fedele e che comunque nei suoi rapporti col Cremlino rivendicasse le “condizioni speciali”, le guarentigie, di cui deve godere la collaborazione spaziale e – soprattutto – la Stazione Spaziale Internazionale. Il curriculum di Dmitry Rogozin, già vice primo ministro con delega alla difesa, non è infatti paragonabile a quello del suo predecessore, ma lo supera in una cosa, la fedeltà al presidente Putin.

Una cosa diversa, se vogliamo a “bassa intensità”, ma che comunque richiama il rapporto tra potere e spazio, si era vista nell’America di Donald Trump, il quale più di una volta aveva spinto la Nasa ad accelerare il programma di volo umano e la ripartenza di navicelle spaziali alla volta della Iss dal suolo americano dopo la fine del programma Shuttle. La Nasa, attraverso il suo mitico direttore del volo umano e amministratore aggiunto, William H. Gerstenmaier, per tutta risposta aveva dato a Trump una bella carta di picche, segnando, però, la sua fine: Gerstenmaier veniva silurato nel luglio del 2019.

Una vicenda simile a quella americana è accaduta in Italia ma per correttezza, devo prima dichiarare di esserne stato parte: nel novembre 2018, allorquando il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Roberto Battiston, veniva rimosso dal suo incarico dal governo giallo-verde, ricoprivo la carica di suo portavoce. La revoca del presidente dell’Asi avveniva senza alcuna motivazione e attraverso l’applicazione della cd legge Frattini sullo spoils system, unico caso in Italia di applicazione ad un ente pubblico di ricerca qual è l’Asi. La decisione fece molto scalpore e non solo nella comunità scientifica. Il Presidente Sergio Mattarella volle ricevere Battiston al Quirinale, un gesto forte nella sintassi del Colle. Al termine dell’incontro Battiston spiegò in un tweet di aver aggiornato il Presidente sullo stato del settore spaziale e di aver avuto “un’importante occasione per una riflessione sull’indipendenza, l’autonomia e l’autorevolezza della ricerca scientifica”.

A mio avviso la morale di queste storie, molto diverse tra loro, è che il potere a volte afferma la sua primazia al di là delle competenze dei singoli e delle stesse convenienze del sistema. Che il potere, nei suoi vertici, voglia avere un controllo diretto dello spazio è comprensibile. Lo spazio nacque nell’ambito del confronto tra Urss e Usa quando le stelle erano il palcoscenico più alto della Guerra Fredda. Ancora oggi i budget istituzionali sono molto più rilevanti di quelli privati che comunque hanno aumentato gli appetiti e la ricerca di visibilità dei politici. Il problema nasce quando il potere pretende di andare oltre il suo giusto mandato e si rende arbitrario.


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