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Bergoglio o la barbarie di Kiev. Nove anni di pontificato

Fratellanza e un instancabile servizio al fianco dei profughi, di tutti i profughi. Papa Francesco ha fatto del suo pontificato una profezia che ci riguarda tutti, in prima persona. I profeti vanno ascoltati, si creda o non si creda. E bisogna farlo per non tornare in grande allegria dei barbari

10 marzo 2022. Si apprende che un bambino ricoverato nell’ospedale pediatrico di Mariupol è stato ucciso dall’attacco missilistico russo del giorno precedente. Quando l’ho letto la mia memoria è andata al 13 marzo di nove anni fa, quando, appena eletto vescovo di Roma, Jorge Mario Bergoglio sceglieva per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica il nome di Francesco.

A nove anni dalla sua elezione i conflitti che devastano il mondo non si contano più, e l’ipocrisia di chi oggi si straccia le vesti dopo anni di silenzio assordante è grave come la condotta di chi ha fatto scempio dell’umanità da Grozny a Tripoli, dal Cairo a Mosul, da Sana’a a Kabul, da Ouagadougou a Christchurch, da Nizza a Isfahan, da Beirut a Idlib, da Addis Ababa ad Hong Kong. Oggi a Kiev tutti questi conflitti sembrano unirsi in un possibile conflitto mondiale. Ma questo conflitto già c’è. Privo di un punto di agglomerazione ha seminato morte e indifferenza. Dunque questo pontificato è stato vano?

No, nove anni di pontificato per la fratellanza non sono stati spesi invano, anzi. Hanno creato in tutte le civiltà moti di coscienza critica e autocritica: nel cattolicesimo, nell’islam, nel mondo ortodosso, tra i figli dei lumi, nelle culture e fedi orientali, tra i figli dell’Amazzonia, un popolo ha cominciato a capire che aveva ragione Martin Luther King: “O impariamo a vivere come fratelli e sorelle o periremo tutti come degli stolti”. Questo popolo c’è e non è un popolo limitato a una confessione, a un’appartenenza confessionale: è il popolo interculturale che riconosce in Bergoglio il leader morale globale. Francesco.

Il suo instancabile servizio al fianco dei profughi, di tutti i profughi, dal confine tra Stati Uniti e Messico, dove è andato, a quello tra Venezuela e Colombia, dove è andato, dai campi profughi dei Rohingya, dove è andato, a quello di Lesbo, dove è andato due volte, da Lampedusa, dove è andato, a Mosul, dove è andato, al Sud Sudan e il Congo, dove incredibilmente si sta per recare, ha visto e denunciato tutto quello che non abbiamo voluto vedere: il naufragio delle civiltà.

Ora questo naufragio ritorna nel cuore europeo, a Kiev, memore del fatto che a Sarajevo non lo avevamo voluto vedere. E straccia le vesti dello stesso cristianesimo, dilaniato tra le parole in nome della pace di Francesco e quelle che evocano un conflitto metafisico del patriarca russo. Metafisico. Cioè tra Bene e Male.

Lì, a Kiev, i nostri pregiudizi ideologici ci impediscono di vedere la realtà. Non ammettere la scarsa cura per quelle terre complesse, pensando di poterle annettere alle nostre pur nella loro complessità, bloccati dietro paraventi ideologici. Ma quando il Segretario di Stato del vaticano, cardinale Pietro Parolin, dice di non aver avuto garanzie sui corridoi umanitari dal ministro degli esteri russo, Lavrov, i paraocchi dovrebbero cadere.

E allora davanti a noi sarebbe evidente che il bivio oggi è uno solo: liberarsi dal pensiero rigido, dalla logica binaria, e scegliere la realtà.

Rendersi conto di quel che ha fatto Francesco in questi anni per evitare che il mondo si strappasse è un lavoro che ognuno di noi potrebbe fare, come fosse un compito a casa, per il suo bene interiore, per la sua salute mentale. Gli stessi tre colloqui concessi a Vladimir Putin acquisirebbero così un sapore diverso: chi aveva capito? Chi ci aveva avvisato? Oggi nei nostri Paesi ci sono statisti che dal 2014, data di annessione della Crimea alla Russia, hanno aumentato il nostro approvvigionamento energetico da Mosca, rendendoci economicamente dipendenti dal Cremlino. Ma in quello stesso tempo non hanno capito la Siria, non hanno sentito gli appelli di Francesco per i profughi siriani, per i deportati a Idlib.

Guardando al presente posso dire che sono felice di aver scritto all’inizio della pandemia un piccolo libro, “Bergoglio o barbarie”. È l’unica cosa giusta che ho fatto. Aver capito che possiamo salvarci, ma non ciascuno per proprio conto, ma soltanto insieme con gli altri.

Il senso di questo pontificato, che spero sia ancora lungo, sta nella leadership morale globale che ha dato a chiunque la voglia vedere. Quando il patriarca di Mosca parla di guerra metafisica, tra il Bene e il Male, e prende a esempio del Male i Gay Pride, io ricordo che il cardinale Bergoglio, al tempo primate argentino, cercò di scongiurare questa deriva quando chiese ai suoi confratelli vescovi di riconoscere le unioni civili per omosessuali. Si sarebbe consentito così a tante persone “normali” di trovare logico, umano, riservare il matrimonio a un uomo e una donna. Non lo ascoltarono. E l’idea che l’Occidente sia peccato si è diffusa, è cresciuta, ha inondato ambienti intrisi di cultura manichea.

È solo un piccolo esempio del servizio alla pace nel mondo che integralismi e laicismi hanno osteggiato, vilipeso, attaccato. Ma il popolo transculturale, transconfessionale, ha capito. Questo popolo sente che c’è qualcuno capace di andare oltre il proprio limite, e in autonomia fa lo stesso. Lo fa dal mondo ortodosso l’arcivescovo di Kiev fedele a Mosca, Onufrio. Con enorme coraggio, tutto suo. Lo fa dal mondo islamico il grande imam di al-Azhar, al-Tayyib. Con enorme coraggio, tutto suo. Tutti questi coraggi sono autoprodotti, ma perché esiste qualcuno che ha dato l’esempio.

Noi, seduti nelle nostre poltrone mentre guardiamo la guerra in tv, sappiamo avere coraggio? Sappiamo andare oltre il nostro limite? Sappiamo liberarci del pensiero rigido? O l’antiamericano ha bisogno di vedere nell’ospedale pediatrico di Mariupol un’imboscata Ucraina e il russofobo in Dostoevskij un pericolo per la nostra cultura?

Davvero c’erano sulle nostre coste dei nuovi invasori, profughi in fuga da finte guerre, o non erano profughi in fuga da altre Kiev, che non abbiamo visto, non abbiamo narrato? Questo lo ha fatto capire solo Bergoglio. Nessun altro ha avuto il coraggio di affermarlo, in tutto il mondo. Molti neanche a casa propria, come da noi. Ma non i politici, noi, pronti a cadere nella guerra tra poveri che si è voluta creare per toglierci coscienza. E così il silenzio se non il capovolgimento di tanti conflitti, sempre contro i terroristi ovviamente, ha concluso l’opera.

Nove anni dopo l’elezione di Francesco il suo pontificato è evidentemente una profezia che ci riguarda tutti, in prima persona. I profeti vanno ascoltati, si creda o non si creda. E bisogna farlo per non tornare in grande allegria dei barbari.



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