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Il metropolita di Kiev ci obbliga a un’altra cronologia della guerra

Il testo di Onofrio capovolge la narrazione slavista del Cremlino e obbliga a un racconto non etnicista dei fatti. Toglie la centralità nella cronologia slava della questione dell’estensione della Nato ad est e vi pone quella della scoperta della fratellanza negata. Così facendo Onofrio obbliga anche noi a una cronologia che non può tralasciare il 2013. Il commento di Riccardo Cristiano

I politici puntano al controllo degli spazi, ma non possono farlo se non controllano il tempo. Il vero punto è controllare le cronologie, perché chi ha una cronologia può sollevare il mondo, cambiare la storia. Basta pensare all’Ucraina per capirlo. Quando è cominciata la guerra? La domanda è decisiva non solo per capire quando si poteva evitarla, ma anche per stabilire che è vittime e chi carnefice.

Ogni evento sembra avere un inizio, ma non è così, non ci sono albe sicure e tramonti indiscutibili nel corso della storia. La guerra non si sottrae a questa evidenza. Se noi pensassimo a fare la cronologia della guerra in Ucraina potremmo partire dall’ingresso dei carri armati russi in Ucraina pochi giorni fa, o dall’annessione russa della Crimea, o da Piazza Majdan. Ma non potrebbe essere indispensabile risalire allo sterminio stalinista dei kulaki ucraini, sul quale ebbe modo di tacere anche il patriarcato di Mosca e di tutte le Russie? Ma forse è la storia zarista, o quella della conversione della Rus’, tanti secoli fa, il vero punto d’inizio. Putin ne accenna spesso e volentieri: ma quella storia di unità russa potrebbe anche dirci che era Mosca parte dei territori di Kiev. Dunque avere una cronologia non fissa una sicura responsabilità, un colpevole e una vittima. Ma cambia la storia. La cronologia che si sceglie cambia la rappresentazione della realtà, sebbene  la realtà che così si delimita non sia interpretabile in un unico modo. C’è un libro, uscito in questi giorni, che ci spiega benissimo l’importanza delle cronologie. Lo ha scritto Lorenzo Trombetta e si intitola “ Negoziazione e potere in Medio Oriente” e lo pubblica Mondadori. Questo libro ci aiuta a pensare: se noi scegliamo una cronologia che parta dall’invasione di questi giorni la responsabilità è tutta di Putin, questo è chiaro. Se tornassimo all’860 e alla conversione della Rus’ la colpa potrebbe apparire dei separatisti ucraini, che si vogliono staccare dalla grande madre Russia, sebbene sia a Kiev e non a Mosca che si nasce.

Procedendo così però non potremmo più fare la storia di nulla. Il flusso degli eventi ci porterebbe fuori dal tempo invece che alla loro comprensione. E soprattutto si cancellerebbero i grandi tornanti della storia, quelli dai quali non possiamo prescindere. Cancellare questi tornanti aiuta a cancellare le proprie responsabilità. Per questo lo facciamo.

Per esempio: Putin tornando all’860 cancella il significato del giorno in cui ha ordinato l‘invasione di uno Stato sovrano. Questo evento, questa decisione, peserà sui russi, su tutti i russi, anche su quelli contrari ad essa. È impossibile che non sia così. Così da quel giorno noi ci confrontiamo con la scelta di reagire a un’azione che sfida l’ordine mondiale e comporta un rischio nucleare. Si poteva evitare? Sì, se pensiamo che questa cronologia è falsa e nasconde un altro tornante storico che evidenzia le responsabilità dell’Occidente e della sua falsa coscienza.

Questo tornante storico risale al 21 agosto del 2013, quando l’esercito di Bashar al-Assad perpetrò l’olocausto chimico di Douma. Quel giorno la Russia ancora non era intervenuta in Siria. Ma il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, preferì all’intervento militare finalizzato a imporre No Fly Zone che impedissero ad Assad di massacrare il suo stesso popolo un accordo sul disarmo chimico di Assad tramite intesa con i russi. Cosa capirono i russi? Cosa capì i Putin? Capì che l’America si ritirava e nel suo relativismo etico accettava anche l’Olocausto chimico in cambio di un’onorevole via d’uscita che la liberasse dal timore che quelle armi finissero in mani più pericolose di quelle di Assad. Così negli anni successivi procedette all’annessione della Crimea prima e poi all’intervento fraterno in Siria. È stato un autentico genocidio e se oggi si  paventa lo spaventoso rischio di bombardamenti a tappeto in Ucraina non si può dimenticare che quei bombardamenti a tappeto hanno distrutto numerosissimi quartieri siriani, da Aleppo est in giù.

Così arriviamo a oggi, nel quale oggi diciamo che Putin dopo aver fatto assassinare donne e bambini non potrà tornare a partecipare alla vita internazionale da suo protagonista. Ma dicendo così si cancella che lo ha già fatto in Siria come il suo alleato Assad,  che è stato accettato fino a giungere ai bordi della riammissione internazionale.

Dunque dicendo questo si dice anche che per l’Occidente la civiltà esiste solo in Europa, la vita conta solo in Europa. È la tesi che emana da quanto affermato in queste ore sia da chi critica Putin, dicendo che ora non potrà tornare protagonista del consesso internazionale, sia da chi lo difende, dicendo che la Nato lo ha provocato. Entrambi dimenticano che lui ha commesso crimini contro l’umanità dal 2015, quando ha annichilito intere città siriane, con tanto di scuole, ospedali, rifugi e tutto il resto che si può immaginare, senza che ciò determinasse alcun prezzo, anzi.

L’eurocentrismo di chi rimuove questo toglie credibilità ai valori che propone: come dire che chi commette crimini di guerra o crimini contro l’umanità non può tornare protagonista del consesso internazionale quando lo si è appena accettato per anni dallo stesso soggetto?

Ecco allora che la lezione cambiando cronologia diviene terribile. Se si fosse intervenuti in Siria in difesa dei valori della civile convivenza nel 2013, cioè prima dell’intervento russo in quel Paese, si sarebbe non solo difeso il principio che si invoca oggi dimostrando di credere che i principi valgono perché tali e non per il luogo dove vanno o non vanno applicati, ma si sarebbe anche  evitato un conflitto diretto con la Russia.

L’intervento in Siria nel 2013 sarebbe stato un avviso a Putin: possiamo accordarci, ma le linee rosse esistono. Ci voleva coraggio certamente, e nessuno dice che fosse assolutamente giusto perché la cronologia dovrebbe contemplare anche altri passaggi. Ma il tornante della storia non sarebbe stato ignorato e avrebbe potuto impedirci di arrivare a quello che abbiamo davanti. Se oggi dobbiamo considerare un conflitto europeo con il rischio nucleare che comporta ciò accade perché non ci è interessato nulla di un genocidio che ha avuto luogo tra il 2013 e il 2017 e chi lo ha perpetrato ha capito quel che ha ritenuto giusto capire.

Ora però nella cronologia russa entra dirompente il comunicato del primate della Chiesa ortodossa russa in Ucraina fedele a Mosca, quella che Putin definisce perseguitata dai separatisti e a difesa dei cui fedeli sarebbe intervenuto. Il metropolita Onofrio però dice il contrario e accusa Putin di commettere lo stesso peccato di Caino, uccidere il fratello. Il testo di Onofrio capovolge la narrazione slavista del Cremlino e obbliga a un racconto non etnicista dei fatti. Toglie la centralità nella cronologia slava della questione dell’estensione della Nato ad est e vi pone quella della scoperta della fratellanza negata. Così facendo Onofrio obbliga anche noi a una cronologia che non può tralasciare il 2013.

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