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Se Kim saluta il vertice Nato con un missile balistico

Kim lancia un missile balistico nel Mar del Giappone mentre il premier nipponico è al vertice Nato e Mosca e Pyongyang parlano di ravvivare i rapporti

Era con ogni probabilità un missile balistico intercontinentale quello testato stamattina presto (ora italiana) dalla Corea del Nord e precipitato nel Mar del Giappone. Le autorità di Tokyo e Seul, che ottengono le informazioni prima di tutti per vicinanza geografica e controllo costante, fanno sapere che si tratta del “più grande mai testato”.

L’intelligence statunitense, che in questo periodo sta dimostrando capacità di previsione eccellenti (come raccontano le valutazioni esatte dell’invasione russa dell’Ucraina) e ha interesse nel renderle pubbliche, aveva anticipato il lancio osservando i movimenti indicati dai satelliti (e forse a terra). Un alert era stato inviato a Corea del Sud e Giappone, con cui Washington condivide certe informazioni, e la guardia costiera giapponese aveva avvertito le navi nelle acque vicine della potenziale caduta di oggetti.

Se venisse confermata la natura del missile sparato da Pyongyang — che potrebbe essere il nuovo Hwasong-17, svelato per la prima volta nel 2020, ma mai testato prima — si tratterebbe del primo lancio di un vettore intercontinentale da parte della Corea del Nord dal 2017. In quegli anni il satrapo nordcoreano Kim Jong-un era il protagonista di uno scontro a distanza con Donald Trump, il quale usava anche il confronto aspro per ragioni interne. Tant’è che un successivo avvicinamento, con incontri diretti e un accenno di negoziati, erano stati utilizzato per celebrare le capacità del presidente statunitense di dialogare anche con i nemici dell’America. Il piano però si concluse con un nulla di fatto.

Dopo i test di missili intercontinentali del 2017, e l’annuncio di un test su un ordigno atomico, Stati Uniti, Cina e Russia avevano imposto dure sanzioni al regime di Kim attraverso un accordo trovato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Successivamente, a seguito dell’avvio dei contatti con Trump, Kim si era auto-imposto un blocco ai test su missili balistici a gittata intercontinentale e su ordigni atomici.

Il missile odierno — secondo le autorità giapponesi — avrebbe raggiunto la quota di 6.200 chilometri, avrebbe volato per 71 minuti con una gittata di 1.100 chilometri: sarebbe dunque in grado di raggiungere le coste statunitensi e sarebbe più evoluto di uno testato nel 2017 (che aveva una gittata di 950 chilometri, volò per 53 minti e raggiunse un’altitudine massima di 4.475 chilometri). I primi dati testimoniano che nel corso di questi cinque anni l’industria bellica nordcoreana si è tutt’altro che fermata, ma anzi ha approfittato di un apparente accantonamento del fascicolo a Washington per progredire.

D’altronde prima Trump davanti al fallimento quasi totale del dialogo, poi Joe Biden davanti a priorità superiori e per volontà di evitare contatti non proficui, hanno spostato la questione nordcoreana nella colonna secondaria degli interessi. Kim intende dimostrare di esserci, e nel farlo manda anche un messaggio ai suoi cittadini e ai gerarchi del regime davanti a cui ha la necessità di non sembrare debole, o meglio di apparire il leader forte che racconta la sua narrazione.

Il ministero della Difesa giapponese ha riferito che il missile è caduto a circa 170 chilometri dalle coste della prefettura di Aomori, a nord ovest dell’arcipelago, una fascia di mare che si trova all’interno della Zona economica esclusiva (Zee).

C’e anche una contestualizzazione di tipo temporale: la nuova provocazione arriva a meno di un mese dai 110 anni di nascita del fondatore dello stato, Kim Il-Sung, nonno dell’attuale leader. La cerimonia si celebrerà il 15 aprile e Kim si sta portando avanti con i fuochi di artificio. E non è detto che sia l’ultimo test prima di quel giorno.

Il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, che ha vinto le elezioni con la promessa di riavvicinare le due parti della penisola, ha commentato che con questo test Kim ha violato la moratoria sui missili balistici che si era auto-imposto, oltre alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu. Il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, ha definito il lancio un “inaccettabile atto di violenza”.

Il premier giapponese si trova a Bruxelles per la riunione dei leader del G7, e successivamente avrà un incontro con i Paesi membri Nato — è previsto anche un bilaterale con il Segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg.

Il Giappone ha subito spostato la linea severissima dell’Occidente contro Vladimir Putin, anche per interesse diretto contro la Russia. In risposta all’ultimo lancio del missile, l’undicesimo da inizio anno da parte di Pyongyang, il governo di Tokyo ha chiesto l’apertura di una conferenza per la sicurezza. Come molti dei dossier internazionali anche questo nordcoreano si incrocia con la guerra ucraina.

L’appoggio di Tokyo e Seul alla reazione sanzionatoria di Stati Uniti e Unione Europea ha portato Mosca a riavviare un dialogo di interessi (reciproci) con Pyongyang. In mezzo agli attacchi sulle città ucraine, il vice ministro degli esteri russo, Igor Morgulov ha incontrato l’ambasciatore della Corea del Nord in Russia e ha discusso lo sviluppo delle relazioni bilaterali “nel contesto dei cambiamenti che avvengono sulla scena internazionale”, secondo quanto comunicato dal ministero russo.

Mentre la Russia affronta un crescente isolamento a causa dell’invasione dell’Ucraina, e alle pesanti sanzioni internazionali per ritorsione, la Corea del Nord diventa uno sbocco più per necessità che per scelta.

Il mese scorso Pyongyang ha indicato come responsabilità della guerra la “politica egemonica” e la “prepotenza” degli Stati Uniti e dell’Occidente. Ossia il regime di Kim ha usato gli stessi proxy narrativi diffusi dalla propaganda russa e ripresi più o meno inconsapevolmente dal rosso-brunismo occidentale. Pyongyang fa parte del blocco degli autoritarismi guidato da Mosca e Pechino: attacca costantemente il mondo delle democrazie e dissemina propaganda velenosa. Il lancio è un chiaro segno di escalation tra le difficili acque dell’Indo Pacifico dove anche la Russia da tempi cerca sbocchi — anche provocando il Giappone.

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