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L’ombra del giorno, il nostro coraggio quotidiano

Con “L’ombra del giorno” (2022), Giuseppe Piccioni ci mostra l’intolleranza di chi pretende di scrivere la storia con il razzismo. Una vicenda della provincia italiana, sotto il fascismo, affidata ad uno stile delicato e per questo di forte impatto sullo spettatore. Un film che “nel centenario della nascita del fascismo, i nostri giovani dovrebbero vedere”, consiglia il critico cinematografico e preside Eusebio Ciccotti

Nella provincia italiana, fine anni Trenta, a ridosso dalla Seconda guerra mondiale. Il ristorante più importante della cittadina è gestito da Luciano (un asciutto Riccardo Scamarcio, con lo sguardo tra melanconia e disincanto, non lontano, a tratti, dal Marcello Mastroianni felliniano), un uomo che non crede più nella vita. È corretto, onesto e si fida, in buona fede, del fascismo. Ha combattuto nella Grande Guerra con coraggio, è tornato decorato e claudicante. Un giorno dà lavoro a una ragazza, magrolina e affamata, Anna (è la rivelazione Benedetta Porcaroli; sa passare dal sorriso al pensieroso naturalmente, senza accademia). Il fascismo pesante e minaccioso entra nel ristorante tramite i vecchi amici di Luciano, ora gerarchi, con le loro cene ostensive e le facce squadrate e soddisfatte.

Poi, un giorno, Anna rivela la sua avversione per il fascismo. Teme per la propria vita, perché il regime perseguita gli ebrei. Ed ella, in realtà, si chiama Ester, è ebrea, e gira con documenti falsi. Luciano è sorpreso. Anche perché ora i due sono innamorati. L’altro coup de théâtre, che tiene vigile lo spettatore in un andamento narrativo volutamente lirico e pausato, è l’arrivo di un clandestino, nascosto nella cantina del ristorante, da Anna. È suo marito, un francese, ricercato dalla polizia fascista insieme a Ester.

Tensioni interne tra i protagonisti e i dipendenti del ristorante, tra chi sa e non sa, tra chi è pronto a tradire (il ragazzo aiutante in cucina, esaltato dai discorsi del regime) e chi, rischiando, a tacere. Pericoli esterni, che provengono figurativamente da quella ampia piazza che “osserva” i nostri protagonisti, di là dalle grandi vetrine del locale, ospitante, ogni domenica. gli esercizi ginnici delle “giovani italiane”. La regia disegna spazi aperti (ariosi plongée alla Jean Vigo), altri ristretti e bui (piazza/cantina; vita/non vita); i volti in primo piano, gli oggetti (le posate, le pietanze): Giuseppe Piccioni sa incastonare piccoli gesti quotidiani, come gioielli, pronti a trasformarsi in un inedito rito (r)esistenziale, quello del nostro coraggio quotidiano.

Piccioni, affermatosi inizialmente come valido regista autoriale (Il grande Blek, 1987), ha, negli ultimi trenta anni, saputo parlare anche al grande pubblico mantenendo una personale cifra stilistica. Fuori dal mondo (1998, pluripremiato in Italia e all’estero), metteva a confronto mondo religioso e mondo laico, parlandoci della vita che all’improvviso ti cambia la vita; Luce dei miei occhi (2001) era una intima storia esistenzialista di anime sole, alla vana ricerca della serenità senza piangersi addosso; Il rosso e il blu (2009), dentro il mondo della scuola, seguiva da vicino la crisi di una preside (forse esitante come resa).

Ora, con L’ombra del giorno (2022), Piccioni accetta la sfida di raccontare un tema conosciuto ma con procedimenti narrativi originali, inclusa una certa suspense mai gridata. L’opera conferma un taglio introspettivo, da scavo socio-psicologico (la sua formazione di sociologo sembra emergere), che sarebbe piaciuto al Krzysztof  Kieślowski della trilogia francese.

Nel raccontarci una micro-vicenda di violenza storica evita i lidi melodrammatici, verso i quali il plot poteva approdare, confermando quel respiro lirico, se volete da poesia crepuscolare, che qualcuno gli rimprovera, ma che è la sua peculiarità stilistica.

Il pausare le battute tra brevi silenzi, la sofferenza dei più deboli senza pose teatrali, la cattiveria dei gerarchi raccontata con l’uso della perfidia falsamente ironica evitando le prevedibili escandescenze di tanto immaginario filmico, immergono il dolore dei deboli, degli indifesi, delle vittime, in una dignità desichiana, non distante dalla poesia del Giardino dei Finzi Contini. E la conversione silenziosa di Luciano, il suo mite eroismo finale, non farebbero sfigurare L’ombra del giorno, in un ideale dittico, accanto a Una giornata particolare (1976) di Ettore Scola. La musica di Michele Braga, con alcuni echi rotiani, sa alludere al dramma senza falsi espressionismi.

Nel centenario della nascita del fascismo, L’ombra del giorno, è un film che i nostri giovani dovrebbero vedere. Ma, forse, tutti noi. Piccioni ci ricorda che dall’intolleranza, come direbbe D.W. Griffith, dall’odio verso altre religioni o etnie, si genera la morte. E lo stiamo vedendo in queste tragiche settimane.

(Foto 01 Distribution)

 



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