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Sticky prices e stagflazione, la combo micidiale. Parla Messori

Intervista all’economista e saggista della Luiss. La stagflazione è il male assoluto, si rischia uno shock stile anni ’70 e i “prezzi appiccicosi” ne portano i germi. La politica monetaria potrebbe non bastare, serve una vera strategia energetica accentrata a livello europeo per emanciparsi una volta per tutte dalla Russia. La Bce? Tra due fuochi

Sì, il rischio c’è. L’inflazione può avere la sua nemesi, nella versione cosiddetta appiccicosa, di cui Formiche.net ha scritto nei giorni scorsi. I prezzi aumentano (l’Istat ha confermato per il mese di febbraio in Italia un tasso al 5,7%, ai massimi dal 1995), spinti dalla crisi energetica a sua volta aggravata dal conflitto in Ucraina.

Ma non tutti rientrano in carreggiata, passata la tempesta.  E allora, ecco il problema: un’erosione lenta ma costante dei redditi, fissi o variabili che siano. Poi, dice Marcello Messori, economista della Luiss e saggista, c’è lo scenario peggiore, la stagflazione a oltranza.

Sul nostro sito in questi giorni abbiamo parlato di sticky prices, l’evoluzione dell’inflazione in una versione più duratura, strutturale. Vischiosa o appiccicosa come la chiamano gli economisti. Quanto c’è da preoccuparsi?

Premessa, il tema non è nuovo. Ma il rischio ad oggi c’è, indice di un mercato che non sempre è concorrenziale. Poniamo che un produttore di un bene sfrutti una strozzatura di mercato. Risolta la strozzatura il produttore non abbasserà quel prezzo e sa perché? Perché ormai ha raggiunto una posizione dominante sul mercato medesimo e non ha più interesse a tornare ai prezzi pre-strozzatura…

Un bel guaio per famiglie e imprese. E adesso, questo scenario è verosimile?

Come ho detto il rischio c’è, c’è negli Usa come in Europa. Il problema è che l’inflazione vischiosa diventa un problema serio se dura nel tempo. Ci sono degli elementi che indicano come già prima della guerra e dello shock bellico questo tipo di inflazione si stesse verificando negli Stati Uniti. Ma adesso, con la guerra, è tutto conclamato. Con una sola differenza.

Quale?

Che negli Stati Uniti il rischio per l’economia sarà tutto sommato contenuto mentre in Europa le conseguenze potrebbero essere più gravi, fino a far sfociare la vischiosità in una stagflazione. Quando cioè i prezzi corrono nonostante il ristagno dell’economia.

Messori, non è un buon programma…

Non lo è. E infatti due anni di pandemia e poi la guerra, rischiamo uno shock molto simile a quello degli anni 70, con effetti devastanti per l’economia.

Secondo lei è peggio la situazione americana o quella europea, in termini di inflazione?

Direi quella europea. Gli Usa avevano una spirale inflazionistica più accentuata, come dimostra la mancanza di alternative della Fed, fin da prima della guerra. Ma l’economia tirava decisamente di più. In Europa la ripresa è arrivata un pochino dopo e con questo nuovo shock, senza una risposta dell’Ue unita e comune i rischi sono rilevanti.

Torno un momento sull’inflazione vischiosa. Qual è la connessione con la stagflazione?

Nella stagflazione c’è già una vischiosità dei prezzi, elevati nonostante un’economia anemica. Quindi la vischiosità può portare i germi della stagflazione. Detto questo, il punto è che quando si crea una spirale di stagflazione, persino la politica monetaria non può fare molto.

Siamo arrivati alla Bce, stretta tra due fuochi. Se alza i tassi colpisce la ripresa, già azzoppata dalla guerra. Se non li tocca i prezzi potrebbero finire fuori controllo. Che si fa?

Per uscirne serve una risposta coordinata europea a livello di politica fiscale. Faccio l’esempio dell’Italia, che è il più calzante. Se la Bce continuerà nella sua politica non espansiva, e facesse venire meno la rete di protezione, allora tocca all’Europa agire a livello accentrato. Poi c’è l’altro grande problema, l’energia, che è il tema centrale del momento.

Lei crede all’indipendenza energetica dell’Europa?

Io credo che sia possibile, ma a tre condizioni. Primo, prendere sul serio la transizione verde, nonostante lo shock in corso. Secondo, gestire la medesima transizione, compito non facile, perché non si può agire in ordine sparso, serve coordinarci a livello europeo, altrimenti non si allenta la dipendenza dalla Russia e non ci si emancipa. Terzo, che ci sia un po’ di pragmatismo, investendo in tecnologie intermedie.

Un esempio?

Se la transizione andasse a buon fine, noi nel 2050 saremmo quasi indipendenti sul campo del gas. Ecco, per raggiungere questo obiettivo dobbiamo spingere su tecnologie che ci consentano di diversificare le fonti di approvvigionamento.


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