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O Kiev o morte, Putin punta tutto sulla capitale

Prendere la capitale ucraina è fondamentale per il successo tattico e narrativo della guerra di Putin. Mosca sta cercando riposizionamenti e rinforzi, mentre iniziano le purghe interne. L’avvertimento russo di oggi (“Colpiremo le forniture militari occidentali dirette in Ucraina”) fa capire che siamo arrivati a un punto di svolta

Il sedicesimo giorno di invasione dell’Ucraina è stato un’apparente fase di apparente riorganizzazione tattica della guerra di Putin. I russi non hanno avanzato su fronti importanti (sebbene abbiano aperto i bombardamenti nell’area orientale di Dnipro) e gli ucraini non hanno ripreso porzioni sensibili di territorio.

È certo che a questo punto dell’assalto, Vladimir Putin pensava di trovarsi in una condizione diversa – leggere “migliore”. S’è detto più volte che l’invasione doveva essere un colpo bloody nose, doveva annichilire i rivali e permettere di entrare a Kiev rapidamente (anche con la sponda che i russi, di lingua cultura etnia, ucraini dovevano fornire all’avanzata). Che così non sia andata ormai è evidente anche dalle reazioni a Mosca.

L’epurazione tra i quadri dell’intelligence di questo parla. Da ieri, venerdì 11 marzo, è circolata la notizia dell’arresto del capo del dipartimento Esteri dell’intelligence federale Fsb e del suo vice. Sono incolpati da Putin (che quell’agenzia l’ha diretta e usata per costruire la prima cerchia del proprio potere) di essere la causa del rallentamento della campagna ucraina.

In particolare pare abbiano fornito informazioni deliberatamente errate sulla situazione, e abbiano pure sottratto fondi dalle casse dell’agenzia anziché usarli per arruolamenti e infiltrazioni che l’agenzia avrebbe dovuto compiere nel paese rivale (e forse se i russi ucraini non hanno risposto come previsto è anche perché il lavoro di preparazione dell’intelligence non è stato carente).

Questo è un elemento significativo e delicato. I due vertici dell’Fsb erano teoricamente fidato di Putin, facevano parte della cerchia diretta composta dagli uomini dei servizi segreti. Il sabotaggio dall’interno indica scricchiolii già emersi, e se Putin viene intralciato dall’intelligence per il presidente è un segnale, da aggiungere alla crisi economica in cui l’isolamento prodotto dall’aggressione ha portato la Russia.

Sul campo queste condizioni pesano, e viceversa pesa sul piano politico il pantano tattico militare. È indubbiamente in atto una rimodulazione dell’impegno, d’altronde la Russia ha perso tre generali in tre giorni. Si parla di sirianizzazione della guerra, sebbene ancora sia presto — ci sono vari fattori che vanno contro questa ipotesi: la posizione geopolitica dell’Ucraina, la capacità russa di portare avanti un piano così complesso e oneroso in Europa. L’evocazione si lega anche alle informazioni circolate da qualche giorno a proposito dell’arrivo sul fronte ucraino di mercenari assadisti — Putin li userà come carne da cannone.

I miliziani siriani che dovrebbero arrivare in Ucraina potrebbero essere 16mila addirittura, a cui si potrebbe unire qualche centinaia di combattenti centrafricani (su cui la società militare privata Wagner, collegata al Cremlino, ha già impostato una campagna di reclutamento e indottrinamento).

Si tratta di più di un’indicazione che alla Russia servono forze nuove in Ucraina; sotto quest’ottica va letta la valutazione dell’intelligence ucraina, la quale crede che i russi stiano organizzando un attacco false flag sulla Bielorussia per poi incolpare gli ucraini e convincere Minsk a scendere in campo.

Accerchiare gli 800 chilometri quadrati di Kiev comporta un impegno di uomini, non solo di mezzi. Il punto è anche capire se poi queste nuove forze siriane e/o centrafricane siano adeguate a combattimenti nel freddo ucraino. Certo, i bielorussi lo sarebbero e invece non sarebbe efficace una campagna di coscrizione in Russia sia per l’ovvia inadeguatezza delle reclute, sia per l’impossibilità politica di sostenere davanti alla propria cittadinanza una richiesta così ambiziosa e pervasiva.

L’offensiva sulla capitale è il fattore cruciale: o Kiev o la sconfitta. È lì che ruota la narrazione, la Kiev di Volodymyr Zelensky descritta dalla propaganda putiniana come il centro di spinta del “genocidio” contro i russi, i quali Putin vuole salvare dai “nazisti”. Mosca chiama “operazione speciale” la guerra di Putin, e quell’eccezionalità è data dalla missione di denazificazione ucraina che ha capitale come obiettivo perché, ripete il Cremlino, è “la giunta di Kiev” il problema — “non stiamo combattendo gli ucraini”, dice il governo di Mosca mandando un messaggio anche ai russi.

Il grande convoglio militare che da giorni viene segnalato nell’hinterland orientale della capitale è rimasto fermo fino a ieri, quando ha iniziato manovre di allargamento. I nuovi raggruppamenti più piccoli non sono avanzati ulteriormente, però sono a 15 chilometri dal centro cittadino. È probabile che attendano evoluzioni dal lato orientale della manovra a tenaglia su Kiev (che va avanti a fatica). Possibile anche che attendano evoluzioni esterne: ieri Putin ha incontrato virtualmente il consiglio di Sicurezza nazionale dopo aver ospitato il presidente bielorusso Aleksander Lukashenko.

Possibile inoltre che ci siano in arrivo sviluppi proprio sul fronte occidentale che da Kiev si allarga fino ai confini europei ucraini. Anche a questo si legano le voci sul coinvolgimento bielorusso. Possibile infine che l’invasione russa inizi una nuova fase (violenta) di maggiore concentrazione sulla fascia occidentale, mentre a Est procedono gli attacchi su Kharkiv e sul sud costiero. Secondo il Pentagono per completare l’accerchiamento di Kiev ci vorranno due settimane e oltre sei per prendere la città.

La Reutes parla di “turning point“, e forse anche per questo la Russia ha avvertito che farà fuoco sulle spedizioni di armamenti occidentali a Kiev – una minaccia che comporta il rischio di un confronto militare diretto tra Mosca e la Nato. È stato il vice ministro degli Esteri a dire oggi che “pompare [l’Ucraina] con armi da tutta una serie di paesi” non è “solo una mossa pericolosa; è qualcosa che trasforma questi convogli in obiettivi militari legittimi”.

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