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Se gli oligarchi abbandonano Putin, il sistema dello zar va in rovina

Da Abramovich a Kadyrov, gli oligarchi a dir poco sono in imbarazzo quando non apertamente contrariati per il conflitto in Ucraina. Ma temono le reazioni del Cremlino che potrebbe metterli al bando espropriandoli di ciò che posseggono nella Federazione. Il commento di Gennaro Malgieri

Mentre Vladimir Putin e i suoi  generali scatenano il terrore su Kiev e l’Ucraina, nei palazzi più impenetrabili della Federazione Russa, laddove il potere combatte la sua guerra nascosta, il potente club degli oligarchi, spina dorsale del sistema politico-economico dello zar allevato alla crudeltà dalla impareggiabile scuola del Kgb, si chiede quanto potranno i loro forzieri restare chiusi e le loro fortune relegate ai margini della finanza internazionale.

Putin, nella sua lucida follia, ha immaginato che blindandosi fino al 2036, grazie al varo della nuova Costituzione, si sarebbe garantito la benevolenza di coloro i quali sulle rovine dell’Unione sovietica hanno costruito patrimoni ingenti in grado di acquistare qualsiasi cosa, perfino di finanziare terrorismo e arditi giochi di Borsa, acquisire squadre di calcio e soprattutto governare gas, petrolio e materie prime, intervenire nelle crisi sociali e politiche nei Paesi del Terzo Mondo,  promettendo al Signore del Cremlino, Guardiano delle loro ricchezze, fedeltà eterna.

Non avevano tenuto conto che l’Occidente, per quanto frastornato, debole e incapace di organizzarsi come una potenza capace di contrastare quelle emergenti, come la Cina, con gli strumenti a lungo aborriti dal comunismo sovietico e giudicati oppressivi dalle sinistre mondiali, insomma con gli arnesi di quel capitalismo “nemico principale” sarebbe stato in grado di instillare quanto meno incubi orrendi su chi davvero governa la Russia e parte del mondo. L’adesione al sistema finanziario, la partecipazione ai giochi mondialisti (per quanto ipocritamente negati) da Putin e dalla sua corte, nel nome di una identità nazionale finta animata da burattini cosiddetti nazional-bolscevichi, hanno arricchito gli oligarchi e lo stesso capo che come un gangster degli anni Trenta riteneva il resto del mondo soltanto “chiacchiere e distintivo”.

Ora chi è stato, o lo è ancora, tra i protetti del patetico zar, comincia a fare i conti e, sommessamente si chiede, se gli effetti delle sanzioni scateneranno davvero l’apocalisse nei loro conti bancari, nelle partecipazioni finanziarie, nelle spericolate compravendite di beni materiali lussuosissimi ai quattro angoli del mondo, anche in casa nostra, in particolare in Sardegna e Toscana dove in esclusive contrade che ospitano ville faraoniche si parla russo e si scrive in cirillico.

È probabile che tra non molto – dipende dai tempi della guerra – si manifesterà fra gli oligarchi un malumore che, per una sorta di eterogenesi dei fini, si sposerà con ogni probabilità, con la povertà crescente in Russia. Tra ricchi e miserabili c’è chi incomincia a non poterne più della guerra in Ucraina. E non è un caso che i bombardamenti su Kiev e l’invasione del Paese non abbiano destato quegli entusiasmi che ci si sarebbero aspettati se solo i russi avessero riconosciuto la bontà dell’operazione militare o avessero visto i loro confini davvero minacciati.

Gli oligarchi, comunque, a dir poco sono in imbarazzo quando non apertamente contrariati. Ma temono le reazioni del Cremlino che potrebbe metterli al bando espropriandoli di ciò che posseggono nella Federazione. Del resto il “fantasma” dell’ex patron dell’ormai defunto colosso petrolifero Yukos, Mikhail Khodorkovski, è ancora ben presente a coloro che covano velleità di rivolta. Nonostante tutto, comunque, critiche esplicite a Putin e ai suoi uomini che controllano servizi segreti e forze armate, non sono di secondo piano. Nomi sonanti come quelli dei plurimiliardari Oleg Deripaska e Mikhail Fridman sembra che stiano dietro alle proteste di piazza di questi giorni e siano tenuti d’occhio dalla polizia. Non si registrano minacce esplicite, ma tutto lascia pensare che se s’infittisce la rete, in patria e all’estero, degli oligarchi contestatori, Putin dovrà aprire un altro fronte per tutelare innanzitutto se stesso.

È stato detto che la posizione di Roman Abramovich, trincerato a Londra dopo aver abbandonato la sua squadra che gli ha dato notorietà, il Chelsea, è sempre più in pericolo e nel circolo putiniano viene già visto come un traditore. Abramovich, che gode di un passaporto israeliano, ha fatto sapere  di aver accettato l’invito del produttore cinematografico ucraino Alexander Rodnyansky (attivo come lui in seno alle comunità ebraiche dell’ex Urss) a “dare sostegno alla ricerca di una soluzione pacifica”, e ha reso noto che i ricavi della vendita del Chelsea saranno devoluti ad una sua fondazione a beneficio delle vittime della guerra. Un modo per “defilarsi” dal gruppo dei falchi oligarchi.

Come ha rivelato l’Ansa, nei giorni scorsi, fra i personaggi dell’elite moscovita, c’è chi lascia esprimere il malumore ai propri rampolli annidati in Occidente. Come nel caso di una delle figlie dello stesso Abramovich, la ventisettenne Sofia che nei giorni scorsi da Londra ha postato un messaggio di denuncia “della guerra di Putin” e “della propaganda del Cremlino”. Ma c’è anche Ayshat Kadyrova, primogenita dell’uomo forte e crudele della repubblica autonoma russa della Cecenia, Ramzan Kadyrov, finora plenipotenziario di Mosca nel Caucaso, al quale deve molto, massacri compresi, che da Parigi ha diffuso un appello di pace via Instagram: “Nessuno vuole la guerra!”.

Gli oligarchi tremano per le loro ricchezze in pericolo e per le possibili ritorsioni di Putin, immancabili se dovessero uscire allo scoperto. Ma quando non saranno più in grado di servire lo zar questi si accorgerà finalmente della sua solitudine. E probabilmente comincerà a pensare che il tempo che manca al 2036 è troppo lungo per reggere una corona traballante che non solo il mondo gli contesta, ma anche coloro che hanno accumulato leggendarie fortune, con le quali lo hanno sostenuto, sulla pelle della più colossale catastrofe politica dei tempi recenti, il crollo dell’Unione sovietica.

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