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La Russia, lo shock petrolifero e il fattore Cina. Report Goldman Sachs

Secondo gli economisti della banca d’affari un taglio alle forniture di petrolio russo potrebbe infiammare il prezzo, su livelli mai visti prima. La Cina potrebbe acquistare più greggio, decongestionando il costo al barile. Ma non è detto che lo faccia

Sono passati quasi 50 anni dalla crisi energetica del 1973, quando per un momento il mondo pensò di rimanere senza più una goccia di petrolio. E adesso, anno di grazia 2022, il canovaccio rischia di ripetersi, con la ragionevole prospettiva che sia ancora peggio di mezzo secolo fa. La Russia, barcollante sotto i colpi delle sanzioni dell’Occidente, rischia di trascinare il globo, o parte di esso, in una crisi energetica profonda. Di questo sono più che convinti gli economisti di Goldman Sachs.

PEGGIO DEL 1973

“L’economia globale potrebbe affrontare uno dei più grandi shock di fornitura di petrolio della storia”, premette la banca d’affari in un report. “Le esportazioni di petrolio russo sono crollate dopo l’invasione dell’Ucraina. Se sostenute, le sanzioni potrebbero portare a un calo del petrolio via mare pari a 3 milioni di barili al giorno, il che darebbe vita alla sesta più grande interruzione dalla Seconda guerra mondiale”. Insomma, occorre tenersi forte.

IL FATTORE CINA

Chi ha le sorti della Russia nel taschino, è comunque sempre lei, quella Cina “pronta a giocare un ruolo decisivo nel modo in cui il mercato del petrolio si riequilibra. Il Paese può probabilmente aumentare le importazioni di greggio russo, ma non è detto che voglia diventare rapidamente il partner commerciale predominante della Russia. Dal fatto che la Cina decida o meno di comprare sostanzialmente più petrolio russo dipende il futuro dello stesso mercato”, scrive Goldman Sachs.

OCCHIO AL PREZZO

E allora? Se la Russia taglia le forniture e la Cina non compra come dovrebbe, come se ne esce? Semplice, aumentare i prezzi. “L’unico modo per riequilibrare rapidamente il mercato dell’energia da una grande interruzione delle esportazioni russe è attraverso prezzi molto più alti che causeranno un calo dei consumi. Un’interruzione di 2 milioni di barili al giorno spingerebbe probabilmente i prezzi a 145 dollari al barile, mentre uno stop di 4 milioni di barili al giorno potrebbe portare il greggio a 175 dollari”.

IL NIET DI ENI

Intanto, dal fronte italiano, arriva un altolà di quelli che pesano per Mosca. Eni ha sospeso la stipula di nuovi contratti relativi all’approvvigionamento di petrolio e prodotti petroliferi dalla Russia. Il Cane a sei zampe non interromperà dunque i contratti e le forniture in corso, ma non saranno sottoscritti nuovi contratti per gli anni a venire.

Non vuol dire ancora fermare l’import di petrolio, ma dare un primo segnale a Mosca. Una strategia che va nella direzione di quanto già sta facendo Washington, che ha annunciato martedì scorso lo stop immediato delle importazioni di petrolio russo. Ma per gli Usa emanciparsi dal petrolio russo non è un grande problema, poiché l’import di petrolio equivale a solo il 3 per cento del loro fabbisogno energetico. Per l’Europa, e per l’Italia, la scelta è più difficile, visto che compra dalla Russia il 40 per cento del gas e il 30 per cento del petrolio di cui necessita.

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