La Nato deve tracciare una linea rossa oltre la quale Putin deve sapere di non poter andare, perché la risposta sarebbe la guerra. D’altra parte, l’Ucraina già al centro del conflitto, non può essere lasciata sola
Nella commedia all’italiana la sceneggiatura conteneva sovente una gag nella quale uno degli interpreti minacciava un altro di prenderlo a botte se non ci fossero degli amici a trattenerlo. In realtà era lui a farsi trattenere apposta, perché non aveva nessuna intenzione di misurarsi con la persona contro la quale inveiva. È un po’ l’atteggiamento della Nato nella crisi Ucraina.
Nei giorni scorsi si sono svolti tutti i possibili vertici: della Nato, del G7, dell’Unione, in presenza del “capo del mondo libero” come si definiva una volta il presidente americano. La versione ufficiale è quella di una grande unità di intenti nel respingere l’offensiva russa. Si è convenuto di andare oltre le sanzioni e di presidiare militarmente i confini orientali dell’Alleanza. Al termine dell’incontro il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha annunciato che gli alleati hanno deciso di fornire più assistenza all’Ucraina, anche dal punto di vista militare con nuovi dispositivi anti carro, difese anti missili e droni. È un passo avanti significativo, al pari dell’orientamento assunto da alcuni governi, sull’esempio di quello tedesco, di aumentare gli stanziamenti nei bilanci per le politiche della Difesa.
I Paesi aderenti alla Nato si stanno rendendo conto che in Ucraina non è in corso un conflitto locale, ma il possibile inizio della terza guerra mondiale. Peraltro, la situazione è talmente compromessa che la diplomazia stessa – implorata dai “pacefondai” – non saprebbe da dove cominciare perché non sono chiari (oppure lo sono fin troppo ma si finge di non capirli) quali siano gli obiettivi di Putin. È sempre più evidente che l’aggressione dell’Ucraina si spiega solo nel contesto di un disegno imperialista molto più ampio; altrimenti non si capirebbero i motivi per cui il Cremlino si sia impegnato in una guerra per conquistare ciò che aveva già: dopo la Crimea, già incorporata dalla Federazione russa, era pacifico che nessuno sarebbe morto per il Donbass e che l’Occidente avrebbe protestato, magari adottato qualche sanzione in più ma senza esagerare.
Putin, invece, ha deciso di prendersi tutta l’Ucraina (è singolare la teoria per cui essa è parte della Russia) evidenziando una “dottrina” che ricorda molto quella dello “spazio vitale” e dell’unità nazionale (dove ci sono russi là deve esserci la Russia) che portò la Germania nazista a scatenare la Seconda guerra mondiale. Il fatto che l’Ucraina non sia crollata nel giro di pochi giorni e che resista da oltre un mese ha consentito all’Occidente di mettersi in allarme e di prepararsi ad un nuovo scenario geopolitico. Ma sono ancora troppe le iniziative che la Nato dichiara di NON voler fare rispetto alla concretezza delle iniziative che intende intraprendere, anche dopo il vertice di Bruxelles.
Gli Usa e i Paesi Nato hanno detto e ripetuto che non combatteranno in Ucraina; che non faranno una no fly zone, per non rischiare di trovarsi impegnati in una battaglia aerea con l’aviazione russa. I servizi segreti hanno da tempo annunciato che i russi sono pronti ad usare le armi chimiche. Fonti riservate assicurano che il comando russo ha iniziato a distribuire l’atropina ai soldati delle forze speciali, in previsione di un loro attacco con armi chimiche. Se questa sciagurata escalation dovesse verificarsi, lo stesso Biden ha promesso reazioni molto dure; ma la vaghezza è tale che Putin può essere indotto a rischiare, poiché si sente comunque garantito da ciò che l’avversario eviterà comunque di fare. È un bel vantaggio portare avanti l’invasione quando l’aggressore sa che cosa non faranno i possibili soccorritori della nazione aggredita, come se il loro compito fosse quello di garantire l’invasore piuttosto che l’invaso.
L’Occidente è ancora allo stadio delle misure a metà: nuove sanzioni economiche… ma fino a un certo punto; fornitura di armi… per ora solo di carattere difensivo; iniziativa diplomatica; ma chi si prende la briga? Gli Usa, la Nato, la Ue non hanno ancora indicato quale sia la “linea rossa” (non si tratta solo di confini, ma anche di azioni belliche) che Putin non deve attraversare, al di là della quale deve aspettarsi una risposta di carattere militare: in breve, la guerra.
A questo proposito, è bene intervenire nel dibattito in corso nel nostro Paese, all’interno del quale dilagano coloro che – come l’Anpi – non si sono accorti che la Russia non è più l’Urss e, soprattutto, non è più il Paese del socialismo reale, ma è divenuta la patria dell’oligarco-mafio-capitalismo e che non finanzia più il Pci, ma Marine Le Pen. Ma noi non ci facciamo mancare nemmeno gli intellettuali per la pace, anzi i talk show se li contendono (anche a pagamento) secondo la vecchia regola che per “fare notizia” deve essere l’uomo a mordere il cane. Alessandro Orsini esprime un punto di vista molto discutibile: nelle controversie internazionali ha ragione il più forte, anzi il più spregiudicato; perciò bisogna lasciarlo fare, altrimenti potrebbe fare di peggio. “Se Putin cadrà in una condizione disperata – afferma Orsini con la solita faccia spiritata – in Ucraina, userà la bomba atomica contro quel Paese martoriato. Il che crea un paradosso: per ogni battaglia persa da Putin, siamo obbligati a preoccuparci di più e non di meno giacché le sconfitte russe ci avvicinano all’arma nucleare”.
Ma come si fa a non vedere che la strada indicata dal sociologo della Luiss è senza una via d’uscita? Perché con questa logica a Putin è consentito di compiere ogni possibile violazione del diritto internazionale, di scatenare guerre e massacrare popolazioni, ma bisogna lasciarlo fare perché potrebbe andare peggio. E di grazia, fino a che punto va lasciata mano libera all’autocrate del Cremlino? Quante popolazioni deve ancora aggredire e massacrare nella nostra indifferenza? Nessuno sembra ricordarsi che l’arma nucleare è disponibile anche in Occidente e che Putin non è il solo a poterla usare. Anzi durante il c.d. equilibrio del terrore erano proprio le armi nucleari a disposizione di ciascuno dei due Imperi a scoraggiare l’altro ad usare le sue.
Quanto all’Amazzone del pacifismo a oltranza, tal Donatella Di Cesare, professione filosofa, il suo atteggiamento ultrapacifista si sta rivelando una tendenza personale elevata a strategia politica. Vanta pubblicamente – come un merito – un nonno disertore durante la Grande Guerra; manifesta un visibile disprezzo per i suoi interlocutori, pari solo alla altezzosa avversione per le armi, il ricorso alle quali non è mai giustificato. Certamente, la Prima Guerra mondiale è stata una “inutile strage”, per certi versi condotta con strategie assurde, inadeguate, da parte di Comandi inetti. La sua conclusione, sulla base delle condizioni del trattato di Versailles, ha posto le basi del secondo conflitto del secolo scorso. Il fatto è che da una tragedia come quelle nessuno poteva pretendere di salvarsi da solo.
È sempre così. Chi diserta non può simulare di agire in base a grandi valori, quando in realtà cerca soltanto di mettere in salvo la propria pelle.