Bruxelles ha presentato un piano per accelerare drasticamente il decoupling energetico dalla Russia: meno due terzi di gas da Mosca entro l’anno. I compromessi impattano bollette e Green Deal, e parte dell’Ue non è ancora pronta a dire addio: è tempo di scelte scomode
Con l’invasione russa dell’Ucraina è diventato ancor più urgente superare la dipendenza dal gas russo, in fretta. A inizio marzo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha spiegato come ridurre di un terzo l’import di metano da Mosca. E martedì la Commissione europea ha alzato la posta: tagliare due terzi entro la fine del 2022, il 100% ben prima del 2030.
Ridurre la dipendenza
Il piano straordinario di Bruxelles segue un inizio settimana caldissimo per i prezzi dell’energia, e – forse anche per calmare i mercati – anticipa le conclusioni del summit di Versailles, dove ci si aspetta che i leader europei annuncino un cambio di passo sui settori più strategici del progetto-Europa: difesa, crescita e stabilità, ma anche, appunto, energia.
La proposta della Commissione, soprannominata RePowerEU, contiene un mix di suggerimenti e proposte legislative vincolanti da discutere con Parlamento e Consiglio europei. Il piano per il 2022 prevede di diversificare le forniture, accelerare lo sviluppo di gas alternativi (biometano e idrogeno) e fonti rinnovabili (rimuovendo degli intoppi burocratici), spingere sull’efficientamento energetico e ridurre la quantità di gas usata per il riscaldamento e la generazione di elettricità.
“Entro la fine di quest’anno possiamo sostituire 100 miliardi di metri cubi di importazioni di gas dalla Russia. Sono due terzi di quello che importiamo da loro. Questo porrà fine alla nostra eccessiva dipendenza e ci darà lo spazio di manovra necessario”, ha detto il commissario europeo per il Green Deal, Frans Timmermans, presentando il piano al Parlamento di Strasburgo.
Addio, gas a buon mercato
L’obiettivo dichiarato è riempire al 90% le riserve europee di gas durante l’estate, per affrontare il prossimo inverno pronti a sostenere un’eventuale interruzione delle forniture russe. Il piano di resilienza energetica immaginato da Bruxelles si basa sulla messa in comune delle riserve europee – cosa che l’Italia propone da mesi – e farebbe largo uso di gas naturale liquefatto, da ricevere via nave.
Primo problema: i rigassificatori in Europa sono pochi e non sempre compatibili con i sistemi di scarico delle navi cargo. Inoltre, se mesi di disperato procacciamento del gas ci hanno insegnato qualcosa, è che i prezzi all’infuori dei contratti di fornitura lungo termine possono salire alle stelle – com’è successo nel 2021, quando i Paesi asiatici hanno fatto incetta di gas pur strapagandolo e quelli europei hanno preferito evitare, contribuendo a svuotare le riserve già tenute a stecchetto dalla Gazprom.
Bentornati, carbone e petrolio (russi)
Ci sono risvolti negativi anche per la decarbonizzazione, dal momento che diversi Stati (Germania e Italia in testa) avevano progettato la loro conversione verso le rinnovabili sulla base dell’ampia disponibilità di gas naturale come veicolo di transizione, e altri ancora – come Austria, Bulgaria, Polonia Slovacchia, Slovenia, Ungheria – dipendono troppo dalle forniture russe di gas (oltre il 60%). Ieri la commissaria per l’energia Kadri Simson ha ammesso che la toolbox dello scorso anno per combattere il caro-bollette non è più sufficiente.
La soluzione non piacerà agli ecologisti: tornare a petrolio e carbone. In questa situazione straordinaria, ha detto Timmermans, alcuni Stati potrebbero non voler utilizzare la stessa quantità di gas per la transizione. “In quel caso saremmo bloccati un po’ più a lungo con il carbone […] se questo è combinato con un’introduzione molto più rapida delle rinnovabili, per il clima può ancora essere una buona soluzione, ma dovremo guardare a ogni singolo caso”.
La ciliegina sulla torta è che il 46% del carbone importato dall’Ue è russo, come anche il 27% del petrolio. La Commissione ha detto che “l’attenzione può essere estesa alla graduale eliminazione della dipendenza dal petrolio e dal carbone russo, per i quali l’Ue ha una più ampia diversità di potenziali fornitori”, ma RePowerEU non si sofferma troppo sui dettagli. Cosa inaccettabile per chi ricorda che un terzo dei ricavi energetici russi (circa 285 milioni di dollari al giorno) sono legati al petrolio.
Avviso ai naviganti
Il decoupling energetico dalla Russia impone un ripensamento radicale all’approvvigionamento energetico, la condivisione di risorse e l’approntamento di una rete di protezione per le case e le imprese più impattate dal caro-energia. Dunque le dichiarazioni della Commissione, benché lodevoli nel loro intento, vanno prese cum grano salis, perché – come ha sostenuto anche l’Aie, basandosi su proiezioni più conservative – i compromessi da fare per staccarsi velocemente dai tubi di Putin possono fare parecchio male alla popolazione.
“L’accelerazione degli investimenti in tecnologie pulite ed efficienti è al centro della soluzione, ma anche una diffusione molto rapida richiederà del tempo per intaccare in modo significativo la domanda di gas importato. Più velocemente i politici dell’Ue cercano di allontanarsi dalle forniture di gas russo, maggiori saranno le potenziali implicazioni in termini di costi economici e/o di emissioni a breve termine”, si legge nel rapporto dell’ente.
Per l’Aie ci vuole “uno sforzo politico concertato e sostenuto in più settori”, assieme a “un forte dialogo internazionale sui mercati energetici e sulla sicurezza. Ci sono molteplici collegamenti tra le scelte politiche dell’Europa e i più ampi equilibri del mercato globale”. L’ente, che da poco ha approvato il rilascio delle riserve strategiche di petrolio per calmierarne il prezzo, auspica una cooperazione internazionale rafforzata “con gasdotti alternativi ed esportatori di Gnl – e con altri grandi importatori e consumatori di gas – sarà fondamentale”, oltre che “una comunicazione chiara tra i governi, l’industria e i consumatori” come “elemento essenziale per un’implementazione di successo”.