Intervista allo storico Giulio Sapelli: la guerra in Ucraina accelera la crisi russa, dai servizi all’esercito per Putin il contraccolpo sarà durissimo. Vuole decapitare la classe dirigente a Kiev, come Stalin a Katyn. Cina? Vi spiego perché non lo soccorrerà
Per Giulio Sapelli, storico ed economista dell’Università Statale di Milano, l’invasione russa in Ucraina è davvero un’operazione “speciale”. Non perché, come afferma la propaganda del Cremlino, non sia una guerra, ma per l’obiettivo che si prefigge: “Annientare” la classe dirigente ucraina, prosciugare il Paese delle sue forze migliori. Sullo sfondo c’è l’ambizione “irrisolta” di uno Stato che si crede superpotenza, ma tale non è. E l’accelerazione di una crisi sistemica che farà presto sentire i suoi effetti a Mosca prima che a Kiev.
Che impatto avrà l’invasione in Ucraina sulla gerarchia del potere russo?
Questa guerra non è la causa, ma la conseguenza di una profonda trasformazione del potere a Mosca iniziata anni fa. È la fine della dialettica con i proto-eltsiniani, come Dmitry Medvedev, ex presidente e capo del partito Russia Unita. Con chi, a partire da Boris Eltsin, ha avallato una politica di spoliazione a vantaggio del capitalismo anglosassone e degli oligarchi ad esso legati.
Voci da Mosca parlano di un’ondata di arresti ai vertici dei Servizi e dell’esercito. Prima il capo dell’Fsb Sergej Beseda, ora il generale russo Roman Gavrilov, vicecapo della Guardia nazionale. Come spiega il repulisti?
Anche in questo caso, la decadenza dei Servizi segreti russi e il declassamento della vecchia gerarchia militare precedono la guerra. Nella Difesa si è fatto strada Sergei Shoigu, un ingegnere diventato ministro che ha scelto come generale di punta Valery Gerasimov, il teorico della guerra ibrida. E il ricorso sempre più frequente ai mercenari della Wagner all’estero ha demoralizzato le alte sfere dell’esercito.
A cosa si deve allora il declino?
Alla sottrazione di una quota crescente della accumulazione capitalistica di Stato un tempo destinata all’ammodernamento militare. La Russia ormai esporta materie prime e importa tecnologia dalla Cina. In Ucraina ne paga le conseguenze, non riesce a procurarsi i droni. C’è poi una terza dinamica accelerata da questa guerra.
Quale?
Il crescente ruolo della Chiesa ortodossa russa. Sullo sfondo del conflitto c’è lo scisma ormai inarrestabile tra gli ortodossi ucraini, avviati all’autocefalia, e il metropolita di Mosca. Un processo iniziato nei primi anni ‘2000 con la ventata di nazionalismo della rivoluzione arancione e che oggi vede in Ucraina la coesistenza di tre chiese: una autonoma, quella ortodossa, e due che guardano a Roma, la Greco-ortodossa e la Chiesa uniate.
Sono trascorse tre settimane dall’inizio dell’invasione e Putin non ha ancora preso Kiev. Qual è l’obiettivo ultimo del presidente russo?
Eliminare le classi dirigenti ucraine o farle disseccare. Costringere alla fuga l’intellighenzia dalle città. Per questo sta facendo rapire sindaci e prova a isolare il presidente Zelensky, finora senza successo. In questo senso è davvero, come dice Putin, una guerra “speciale”. Un copione già visto: a Katyn i sovietici uccisero 22mila polacchi tra diplomatici e ufficiali, poi accusarono i nazisti.
Ci sta riuscendo?
Sta riuscendo in uno dei suoi obiettivi: controllare il Mar Nero e, di conseguenza, il passaggio tra il Mediterraneo e l’Asia. Per questo si spiega la più dura serie di attacchi contro Odessa. Una missione che, ancora una volta, vedrà su fronti opposti la Russia e la Turchia.
Dietro a queste manovre c’è la ricerca di uno status da superpotenza?
Sì, resterà un’ambizione. Paul Dibb, stratega e già vicecapo dell’intelligence australiana, definiva l’Urss una superpotenza incompleta. Credo valga anche oggi. L’apparato militare russo poggia su due gambe rachitiche: da una parte l’economia, dall’altra la lenta dispersione tecnologica.
Il mondo ha ora gli occhi puntati sulla Cina. Lei crede a un pronto-soccorso di Pechino a Mosca?
Niente affatto, i cinesi non si accorderanno con i russi. Basta rileggere i libri di François Fejito per ricordare i duri scontri tra Mao e Stalin, e ancora prima tra Sun Yat-sen e la Russia zarista. Quando il Giappone ha sconfitto i russi nel 1905 i nazionalisti cinesi hanno brindato. C’è una diffidenza storica: la Russia è arrivata fino a Vladivostok ma non è riuscita a proiettarsi nel Pacifico. Ci ha provato una volta ed è scoppiata la guerra di Corea.
La Russia vuole ancora una proiezione nell’Indo-Pacifico?
No, è vero il contrario. Come diceva Mackinder, la Russia è un Paese eurasiatico. Ha un piede nei due mari caldi ma vuole dominare l’Asia centrale: Kazakistan, Turkmenistan, Azerbaijan, Armenia. Una potenza di terra, come la Germania. Ogni volta che prova a diventare una potenza di mare esce drammaticamente sconfitta.