“Rimanere nella sua posizione attuale o ascoltare il suo metropolita di Kiev e i fedeli ucraini in comunione con lui che gli chiedono di levare la sua voce?”. Queste le parole del direttore de “La Civiltà Cattolica” rivolte in modo diretto al patriarca di Mosca
Sono parole che pesano eccome quelle, certamente pesate e a lungo meditate, del direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro e rivolte in modo diretto ed esplicito al patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill. Indicano la grande sfida che lo riguarda: “Rimanere nella sua posizione attuale o ascoltare il suo metropolita di Kiev e i fedeli ucraini in comunione con lui che gli chiedono di levare la sua voce?”. Le parole sono esplicite, dirette e seguite da una considerazione altrettanto determinante, che si spiega bene rammentando quella appena citata: “Sento di ricordare le parole che il Papa ha pronunciato nell’Angelus di domenica 20 febbraio: com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi la guerra”.
Il silenzio, sembra dirci il direttore de La Civiltà Cattolica, non si addice a un patriarca, soprattutto in momento così tragico per milioni di ucraini, privati di tutto. Nella conversazione con l’Adn Kronos alla quale qui ci si riferisce il direttore de La Civiltà Cattolica ricorda il punto decisivo e cioè che il metropolita di Kiev unito al patriarcato di Mosca, fedele a Mosca e al patriarca Kirill, “ha chiaramente sostenuto e continua a sostenere la sovranità statale e l’integrità territoriale dell’Ucraina e il 24 febbraio si è appellato al presidente Putin perché fermi la guerra fratricida”. Dunque la sfida sembra potersi presentare così: il pastore cosa fa, ascolta il gregge o ascolta il Cremlino?
Ecco allora che per me è lecito affermare a commento di queste parole importantissime per tutta l’Europa che Mosca è chiamata a fare i conti con la sua teologia, e a farlo rapidamente. Si considera una Chiesa etnica? La rivendicazione di questo conflitto affonda proprio in questo pericolo, esiziale per il cristianesimo, le sue radici. Questo rende questa guerra soprattutto di religione. Quando Putin nega l’esistenza dell’Ucraina indica di fatto di una visione etnicista. Ma il patriarca Kirill sa bene che nel 1872 il sinodo panortodosso condannò come eresia il “filetismo”, cioè l’idea che la Chiesa dovrebbe essere divisa per linee etniche: “Denunciamo, censuriamo e condanniamo il filetismo, vale a dire, la discriminazione razziale e le dispute, rivalità e dissensi su basi nazionali nella Chiesa di Cristo come antitetico agli insegnamenti del Vangelo e ai sacri Canoni dei nostri beati Padri, che sostennero la santa Chiesa e, ordinando l’intera ecumene cristiana, guidandola alla pietà divina”.
È questa scelta che comporta la scelta decisiva, quella del tipo di rapporto che la Chiesa sceglie di aver con il potere politico. E allora non si può non notare che Formiche.net, pubblicando pochi giorni fa il testo dell’intervento di padre Spadaro alla fondazione ItalianiEuropei sulla guerra, ci ha fatto leggere che il direttore della Civiltà Cattolica ha citato tra virgolette una frase di Pier Paolo Pasolini che aiuta a capire di cosa parliamo e cosa muova Francesco a una geopolitica dalle mani libere che vorrebbe e potrebbe aiutare anche Kirill a liberarsi da retaggi molto pericolosi: “Cristo non poteva in alcun modo voler dire: accontenta questo e quello, concilia la praticità della vita sociale e l’assolutezza di quella religiosa, dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Al contrario – in assoluta coerenza con tutta la sua predicazione – non poteva che voler dire: distingui nettamente tra Cesare e Dio, non confonderli, non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio: non conciliarli: ricorda bene che il mio ‘e’ è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto, inconciliabili”.
Nessuno pretenderà di portare oggi l’ortodossia russa dal filetismo a Pasolini in poche ore, sebbene drammatiche e decisive. Ma chi ha a cuore le sorti dell’Europa e quindi anche del cristianesimo russo può, non pretendendolo, aiutarlo ad aprire gli occhi e salvare se stesso. La geopolitica dalle mani libere ha certamente questa grande opportunità e potenzialità. A Kirill decidere se accettare la mano tesa, nella chiarezza propria di ogni geopolitica dalle mani libere. Quella mano con una visione che oggi non dimostra nessun altro indica a Kirill, nella chiarezza del richiamo, anche il modo per salvare se stesso. Senza nessuna presunzione, ma solo ricordandogli la voce del suo gregge.