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Svezia, Finlandia e non solo. Il grande Nord alla prova Putin

Svezia, Norvegia, Finlandia. L’invasione russa in Ucraina ha risvegliato vecchi timori e ruggini nel grande Nord. Viaggio per capire un cambio di fase (storico). L’analisi di Domenico Vecchiarino

Storicamente il nord Europa è stata sempre un’area geostrategica contesa tra Est e Ovest. Durante la Guerra Fredda tutti i paesi nordici, nonostante lo status di neutralità di alcuni, si sono ritrovati al centro dello scontro geopolitico tra Stati Uniti e Unione Sovietica per il controllo del mar Baltico e della Penisola Scandinava. Questa conflittualità, interrottasi con la caduta del Muro di Berlino, è ripresa negli ultimi anni e in questi giorni, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, sta toccando altissimi livelli di tensione.

Qui Scandinavia

Una prima area geopolitica dove si regista una forte pressione di Mosca è la Scandinavia. Questa area è un punto geostrategico importantissimo dal quale si possono controllare tutti i passaggi marittimi che collegano il mare di Barents, e quindi l’accesso all’oceano Atlantico, con le basi navali russe della Flotta del Nord, situate nella zona intorno la Penisola di Kola, vicino il confine con la Norvegia, dove trovano riparo anche i sottomarini nucleari di quarta generazione classe Yasen e classe Borei.  Inoltre l’area, una delle più colpita dal riscaldamento globale, per via dello scioglimento dei ghiacci è al centro di nuove rotte mercantili e soprattutto di nuove aree di sfruttamento delle ingenti risorse minerarie presenti nei fondali.

Ma anche Baltico

L’altra area interessata dallo scontro geopolitico con la Russia, per certi versi anche maggiore della Scandinavia, è il Baltico. Questa area, dove Mosca ha perso il controllo di buona parte della sponda Sud dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è al centro di importantissimi traffici energetici, legati specialmente al passaggio dei gasdotti russi Nord Stream 1 e 2 che si intrecciano con il Baltic pipeline project (BPP), un gasdotto che connetterà Polonia e Norvegia via Danimarca. Ma non solo gas, nel Baltico ci sono anche parchi eolici offshore e cavi di interconnessione elettrici che sono al centro della transizione energetica di questi Paesi, realizzata anche per ridurre la dipendenza del gas russo.

Il ruolo degli interconnector

Proprio nell’ottica della diversificazione delle fonti energetiche i Paesi Baltici e della Scandinavia hanno realizzato numerose opere.  Ad esempio, tra Estonia e Finlandia ci sono i cavi sottomarini Estlink 1 e 2, mentre la Lituania è collegata alla Svezia con il cavo ad alta tensione Nordbalt da 700Mw che attraversa il Mar Baltico tra la città portuale di Klaipeda e Nybro. Nel 2016 è stata realizzata l’interconnessione LitPol da 500 Mw tra Lituania e Polonia, che rappresenta la prima fase di integrazione energetica degli Stati baltici con l’Europa continentale.

Ma proprio questa geostrategicità dell’area ha generato una serie di tensioni con la Russia. Dal 2007 ad oggi tutta l’area del Baltico e della Scandinavia è stata oggetto di eventi, anche critici, riconducibili a Mosca, che con le sue azioni aggressive ha costretto tutti i Paesi dell’area a prendere importanti contromisure. In particolare, negli ultimi anni si sono registrati una serie di cyberattacchi, operazioni russe di spionaggio e sorveglianza ai danni dei Paesi nordeuropei anche con, violazioni dello spazio aereo da parte di caccia e bombardieri dell’aviazione russa.  Non a caso, la NATO ha creato la Baltic Air Policing per proteggere gli spazi aerei di paesi membri non dotati di una propria aeronautica militare come quelli baltici.

Estonia: un caso di scuola

L’Estonia è stata la prima nazione a finire nel mirino di Mosca. Il 27 aprile 2007 quando fu rimossa dal centro della Capitale Tallin la statua di bronzo del soldato russo dell’Armata Rossa. Il governo estone temeva una rappresaglia militare da parte della Russia, ma non successe nulla sul piano convenzionale, perché pochi giorni dopo, si scatenò un cyber attacco senza precedenti nella storia. Una massiccia ondata di attacchi DDoS bloccò i computer di banche, strutture governative e media nazionali, che erano connessi in rete. Gli attacchi furono lanciati a sciami, anche a distanza di giorni e si susseguirono per tre settimane su larga scala. Tallin ha incolpato la Russia dell’accaduto, ma senza mai spingersi ad un’accusa ufficiale, per non alzare ulteriormente la tensione con l’ingombrante vicino di casa, ma anche perché non aveva le prove certa della colpevolezza della Russia.

Svezia: vecchie, vecchissime ruggini

Anche la Svezia, nonostante lo status di neutralità vigente dal 1814, precisamente dalla fine della guerra svedese-norvegese, si è trovata al centro di numerose azioni ostili di Mosca. Già durante la Guerra Fredda Stoccolma si trovò invischiata in azioni di spionaggio e di sorveglianza con i russi che furono accusati diverse volte di avere mandato propri sottomarini nelle acque territoriali della Svezia. L’episodio più famoso, l’incidente “Whisky on the rocks”,accadde nel 1981 quando un sottomarino sovietico si incagliò nelle acque vicino a una base navale svedese a Karlskrona. Evento che poi si ripetuto nel 2014 con la caccia ad un sottomarino russo rilevato nelle acque territoriali svedesi oggetto di una ricerca da parte di un’apposita squadra militare. Negli anni immediatamente successivi all’invasione russa in Crimea nel 2014, Stoccolma ha poi reintrodotto la leva, anche se selezionata, e ha aumentato il budget per la Difesa. Inoltre, è stato distribuito a tutta la popolazione un volantino-Pdf nel quale viene spiegato ai civili come comportarsi in caso di crisi (si va dalle calamità naturali alla guerra). Nei giorni precedenti l’invasione dell’Ucraina diversi droni non identificati hanno sorvolato più volte alcune delle centrali nucleari, ancora vitali per il fabbisogno energetico del Paese, e anche edifici nel centro di Stoccolma, a cominciare dal Riksdag, il Parlamento.

In riposta a questi eventi, e al deterioramento del contesto di sicurezza nell’Europa dell’Est, la Svezia ha poi schierato, già dal mese di gennaio, alcune unità di emergenza delle forze armate sull’isola di Gotland, rafforzando i pattugliamenti nel porto e all’aeroporto di Visby, la principale città dell’isola. Situata nel mezzo del Mar Baltico, l’isola di Gotland è un territorio situato a 90 km a est dalla Svezia, negli ultimi anni ha suscitato l’attenzione della Russia, perché si trova al centro di uno dei più grandi traffici energetici e marittimi. Gotland è stata paragonata a una portaerei: chi controlla Gotland, controlla il Baltico.

Finlandia, neutrale (sulla carta)

la Finlandia, neutrale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per via del peggioramento del quadro di sicurezza nell’est dell’Europa sta mettendo in discussione il suo status. Helsinki ha da poco rinnovato parte della sua aviazione militare acquistando F-18 E/F e 64 F-35  e sta aumentando la presenza militare nelle isole Aland, strategicamente posizionate all’ingresso del Golfo di Botnia. La Russia, da parte sua ha realizzato sull’isola di Gogland, situata al centro del Golfo di Finlandia tra Kotka e la città estone di Kunda, un eliporto considerato da Mosca un luogo essenziale per la difesa e la sicurezza delle strutture militari della flotta a Kronstadt e San Pietroburgo.

Ma nel Baltico, per rendere il quadro geopolitico ancora più complesso c’è l’exclave russa di Kaliningrad, un oblast della Federazione Russa al di fuori dai suoi confini, situata tra Polonia e Lituania con accesso al mar Baltico a 160 km a est di Danzica. Poco più grande di 15mila chilometri quadrati, questa regione assomiglia più ad una fortezza militare che a una regione. Qui i russi ha realizzato quella che in gergo militare si chiama bolla di interdizione Anti Access/Area Denial (A2/AD), ovvero un’area a tenuta stagna da eventuali attacchi della NATO, caratterizzata dalla presenza contemporanea di sistemi missilistici antinave, antiaerei/antibalistici, antisom nonché sistemi EW, radar OTH e assetti navali, subacquei e aerei.

Questa area risulta poi altamente strategica per quello che in ambito Nato viene chiamato il Suwalki Gap, il varco di Suwalki, una striscia di terra di poco più di cento chilometri corrispondente al confine tra Polonia e Lituania ma che allo stesso tempo divide l’exclave di Kaliningrad dalla Bielorussia. Secondo alcuni analisti questo sarebbe il vero tallone d’Achille della Nato perché in caso di conflitto le forze russe di Kaliningrad si ricongiungerebbero a quelle della Bielorussia isolando di fatto l’ Estonia, la Lettonia e la Lituania, cosicché “la Russia potrebbe prendere il controllo dei Paesi Baltici più rapidamente di quanto potremmo difenderli”, come ha sempre temuto il generale Ben Hodges, ex comandante delle truppe Usa in Europa.

Norvegia, vocazione Nato

La Norvegia, membro della Nato, sin dall’inizio della Guerra Fredda, è stato uno dei pilastri del sistema difensivo dell’Alleanza, specie nel pattugliamento delle acque artiche. Dal 2015, per via delle tensioni con la Russia ha reintrodotto la leva obbligatoria anche per le donne e potenziato il suo apparato della Difesa. Nonostante ciò, ci sono stati degli episodi che hanno alzato la tensione con Mosca.  Nell’agosto del 2020 gli agenti dalla PST, il controspionaggio di Oslo, hanno arrestato un loro concittadino beccato in un ristorante della capitale con un ufficiale dell’intelligence russa, successivamente espulso. Nel novembre del 2021 c’è stato poi un “danneggiamento” a un cavo sottomarino di comunicazione nel Mar del Nord. Questa volta è stato tranciato lo Svalbard Undersea Cable System che, oltre a fornire connessione web all’insediamento umano alle Svalbard, serve il parco antenne SvalSat la più grande stazione di terra commerciale del mondo con clienti in tutto il mondo, che utilizza oltre 100 antenne satellitari su un vicino altopiano montuoso. Forte indiziata dell’attività di sabotaggio è Mosca.

Tutti questi eventi hanno spinto i Paesi Scandinavi ad aumentare ed integrare le loro difese. Già nel 2009 era nato la Nordic Defense Cooperation ( Nordefco ), una collaborazione tra i paesi nordici nel settore della difesa formata da Danimarca , Finlandia , Islanda , Norvegia e Svezia . Nel 2018, complice anche le azioni aggressive della Russia, è stato firmato un accordo trilaterale tra Stati Uniti, Svezia e Finlandia con l’inclusione della Nato e l’Ue, visti come partner fondamentali della sicurezza del Baltico. Successivamente, nel 2020 Svezia, Finlandia e Norvegia hanno stretto un ulteriore accordo trilaterale, il “trilateral Statement of Intent”,ancora più stringente in materia di difesa tra i tre Paesi .

Porte aperte?

L’invasione russa dell’Ucraina ha però radicalmente cambiato la percezione di sicurezza nell’area nordica tanto da spingere la Svezia e la Finlandia a valutare l’ingresso nella NATO e cambiare quindi il loro status di neutralità.  Su questa ipotesi, Sergei Belyayev, direttore del secondo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che avrebbe gravi conseguenze militari e politiche e costringerebbe la Russia ad adottare misure di ritorsione. “E’ ovvio che la loro adesione all’Alleanza, che è in primo luogo un’organizzazione militare, comporterebbe conseguenze politiche e militari che richiederebbero la necessità di rivedere le relazioni con questi Paesi e adottare misure di ritorsione”, ha affermato Belyayev ad Interfax.

Non solo, la Lituania, l’Estonia e la Lettonia, subito dopo l’inizio delle operazioni russe in Ucraina, hanno invocato l’articolo 4 del Trattato dell’Alleanza. Secondo il trattato costitutivo della Nato, le varie parti possono chiedere consultazioni “ogni volta che, nell’opinione di almeno uno di essi, è minacciata l’integrità territoriale, l’indipendenza politica e di sicurezza di qualunque dei paesi dell’alleanza”. Dal 1949, anno di fondazione della Nato, l’articolo 4 è stato invocato sei volte. Il Consiglio serve a coordinare eventuali risposte, ma soprattutto “a mostrare unità”, hanno detto i leader dei rispettivi governi dei paesi baltici.

Cold response: perché Mosca intenda

Mentre si intensifica la guerra che orami da più di venti giorni devasta l’Ucraina, la Nato ha avviato in Norvegia la sua più grande esercitazione dell’anno, “Cold Response 2022”, che coinvolge sul fronte nord dell’Alleanza più 30mila soldati 200 aerei e 50 navi provenienti da 27 Paesi. L’esercitazione, pianificata già da diversi mesi e che durerà fino al 1° aprile, vede la partecipazione anche delle Forze Armate italiane con l’incrociatore Giuseppe Garibaldi che porta a bordo una aliquota di fanti della Marina di San Marco e una componente di marines degli Stati Uniti, e sede della Task Force Anfibia multinazionale. Un chiaro segnale alla Russia che la Nato è presente e soprattutto unita, reattiva e pronta per ogni scenario.


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