Il Cremlino inserisce Taiwan tra gli Stati e i territori “non amichevoli” dopo le sanzioni per l’invasione in Ucraina. Una mossa che riflette un’ambiguità storica sul dossier. Il prof. Fardella (ChinaMed): per la Cina la guerra adesso non è una buona notizia
A vederla con una lente calcistica potrebbe sembrare perfino un fallo di reazione. La scelta del governo russo di inserire Taiwan nella lista degli “Stati” e dei territori considerati “non amichevoli” ha attirato l’attenzione del mondo diplomatico. Quando l’agenzia Tass ha battuto la notizia nella mattinata di lunedì si è affrettata ad aggiungere una postilla tra parentesi accanto al nome di Taiwan: “Considerata un territorio della Cina, ma governata da una sua amministrazione fin dal 1949”.
Il nome dell’isola, autonoma ma considerata da Pechino parte integrante della Cina continentale, è elencato insieme agli Stati che hanno imposto sanzioni contro Mosca per l’invasione in Ucraina, a partire dagli Stati Uniti e tutta l’Ue, Italia inclusa. Il decreto firmato dal Cremlino prevede una serie di contromisure, come un’approvazione preventiva del governo russo per gli accordi delle multinazionali russe con questi Paesi o la possibilità di ripagare in rubli debiti di valuta estera eccedenti i 10 milioni di dollari al mese.
Taiwan si è da subito allineata alla coalizione di Paesi che ha imposto sanzioni contro la Russia all’indomani dell’invasione, anche se la mossa ha avuto un impatto più simbolico che effettivo: l’interscambio dell’isola con Russia e Ucraina non supera in entrambi i casi l’1% del totale, a leggere i dati del governo di Taipei. Tanto è bastato per finire ufficialmente nella lista dei rivali.
Una mossa sui generis che riflette un coordinamento complesso tra Russia e Cina sulle vicende ucraine e un rapporto bilaterale dalla storia ancora più intricata. Ne è convinto Enrico Fardella, sinologo e coordinatore del progetto Chinamed.it sul ruolo della Cina nella regione dell’Euro-Mediterraneo. “Presentarsi come mediatore, come forza neutrale, permette a Pechino di mostrarsi con un profilo moralmente più elevato, quasi super partes, rispetto ai contendenti, russi inclusi ovviamente, e permette di presentarsi al summit di aprile con la Ue con delle valide carte da giocare”, dice il docente a Formiche.net.
“Ciò deve – ma di fatto solo in parte può – coesistere con l’intesa siglata tra Xi e Putin, che serve da assicurazione in caso di fallimento della ‘pace’ e estensione del conflitto, come dimostra peraltro l’inserimento di Mosca del ‘territorio’ di Taiwan nelle lista delle entità ritenute ostili da Mosca”.
Al di là dell’inclusione di Taiwan fra gli Stati e i territori sanzionati – di fatto il riconoscimento di un’autonomia sostanziale che Pechino invece vuole rimettere in discussione – per la Cina di Xi l’invasione russa in Ucraina non è necessariamente una buona notizia. Non a caso lunedì, durante l’annuale conferenza stampa, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha tenuto a precisare che la vicenda ucraina e quella taiwanese sono “basilarmente differenti” perché la seconda è “un affare interno”.
Spiega Fardella: “Non dimentichiamo che la questione di Taiwan è nata a causa dell’intervento della Cina nella guerra di Corea nel 1950. Mao, che aveva appena riconquistato la Cina continentale, poteva completare l’unificazione della Cina riconquistando l’isola di Taiwan dove si erano rifugiate le forze nazionaliste dopo la sconfitta nella guerra civile contro i comunisti. Ma decise invece di dare la priorità al supporto dei nordcoreani contro le forze delle Nazioni Unite guidate dagli Stati Uniti. Questi – che fino ad allora avevano escluso Taiwan dal loro perimetro di sicurezza nel Pacifico – risposero dunque mandano la VII flotta nello Stretto di Taiwan a difesa del governo dell’isola che da allora rientrò – più o meno formalmente – nel perimetro di sicurezza di Washington nella regione”.
Se insomma è stata una guerra a scatenare la “questione di Taiwan” in origine, è stata invece la pace a favorire il progressivo scioglimento del nodo, spiega il professore. “Oggi si festeggiano i 50 anni della storica visita di Nixon in Cina che sancirono l’inizio del riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti, un rapporto che ha segnato il corso dei processi globalizzanti per oltre quarant’anni consentendo a Pechino capacità e strumenti per rafforzare la sua forza di attrazione nei confronti di Taiwan. Le crescenti tensioni con gli Stati Uniti hanno interrotto gli effetti benefici dell’intesa inaugurata da Nixon”.
Ecco perché, a detta dell’esperto, il paragone tra Kiev e Taiwan, riemerso di continuo nelle ultime settimane, pecca di una lettura un po’ semplicistica. “Se anche la Cina oggi ha una capacità di gran lunga maggiore rispetto al passato per immaginare una soluzione ‘non pacifica’ della questione taiwanese, è anche vero che il costo per Pechino sarebbe forse ancora troppo alto. Alla luce di quanto detto – e memore degli effetti del conflitto coreano – è chiaro che per Pechino associarsi alla ‘guerra’ di Putin contro l’Ucraina rischia di restringere ulteriormente i margini operativi su Taiwan. È chiaro dunque che è sul piano della ‘pace’ che si muove l’orizzonte più idoneo per la tutela degli interessi nazionali cinesi, almeno in questa fase”.