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I tifosi di Putin esistono e non vanno sottovalutati

Capita (troppo) spesso di ascoltare la difesa dello zar russo. Ho cercato allora di dare un ordine agli argomenti, tentando di dare loro una qualche logica, una qualche spiegazione di carattere politico ma anche sociale ed economico. E ne ho trovate cinque

Siamo proprio sicuri che tutti o quasi dalle nostre parti sono contro Putin e sono pronti a criticarne la criminale invasione dell’Ucraina?

Dico questo perché invece a me capita non proprio raramente di imbattermi in argomenti tesi a giustificarne l’operato, fenomeno forse più diffuso di quanto si potrebbe (o vorrebbe) pensare.

Ho cercato allora di dare un ordine agli argomenti che ho ascoltato (e che non condivido), tentando di dare loro una qualche logica, una qualche spiegazione di carattere politico ma anche sociale ed economico.

Sono così giunto ad una articolazione in cinque punti, che vado a proporre.

In cima a tutto c’è un certo apprezzamento per l’atteggiamento decisionista, per quell’aria da capo “che decide per tutti” e che “sa quello che fa”. È la rivolta contro la fatica quotidiana del nostro sistema democratico, con tutte le sue contraddizioni, le sue lentezze, i suoi estenuanti compromessi. È anche un moto di gigantesca sfiducia verso il sistema occidentale di rappresentanza, che non a caso vede trionfatore assoluto alle elezioni l’astensionismo seguito, spesso a ruota, da populismi di varia foggia e nazionalità.

Poi c’è un rifiuto infastidito verso una globalizzazione che, pur essendo entrata definitivamente nelle nostre vite, ha perso gran parte della sua originale dimensione valoriale (almeno per alcuni), ragione per cui chi fa sfoggio (anche stravolgendo la storia a suo uso e consumo, proprio come nel caso di Putin) di orgoglio identitario finisce per essere una sorta di “eroe”, cui si perdonano anche grandi efferatezze perché necessarie per battere il mostro “globalista”, di cui i social network sono longa manus.

C’è poi un terzo punto, non a caso evocato esplicitamente dal patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca Kirill. Quando la massima autorità religiosa russa dice “la guerra è giusta perché è contro chi sostiene i gay”, tocca un tasto dolente della società contemporanea perché non è vero che tutti sono convinti che i progressi fatti contro le discriminazioni per orientamento sessuale sono cosa buona giusta. Anzi le persone perplesse (a torto) su questo fronte sono assai più numerose di quanto riesce ad emergere dalle ricerche in materia. Ecco allora che un fiero oppositore delle evoluzioni nelle leggi e nei comportamenti in favore della comunità LGBT quale è Vladimir Putin finisce per assumere una sorta di leadership anche su questo fronte, non fosse altro per il fatto che nessuno o quasi (ed è un bene) osa fare ciò in Occidente.

Non è finita però, siamo solo al punto quattro. Tra nemici poco dichiarati ma molto sentiti di una certa quota dell’opinione pubblica c’è un bene prezioso quanto difficile da maneggiare: il “politically correct”. È strumento delicato ma potente, perché capace di dividere con l’accetta il branco: chi lo sa usare e lo vuole usare da una parte e chi lo rifiuta o lo guarda con sospetto dall’altra. I primi pensano male dei secondi e i secondi fanno altrettanto con i primi. Però i secondi cercano figure di riferimento, per l’appunto, di estrema “scorrettezza” ma di non inferiore grandezza: sotto questo punti di vista Putin è perfetto.

Infine c’è il tramonto del mito americano, quinto punto di questo viaggio nel cuore e nel cervello dei nostri vicini di casa o colleghi d’ufficio. Oggi gli Usa si raccontano attraverso disastri (Capitol Hill, la fuga da Kabul) e si rappresentano sul piano politico con uno scontro tra anziani, ricchi e rancorosi leader (Trump VS Biden): siamo a distanza siderale da quando il cinema a stelle e strisce sapeva fare sognare intere generazioni. E se allora New York non è più il riferimento assoluto del pianeta ecco che qualcuno comincia a guardare da un’altra parte, magari tifando per Mosca senza mai averci messo piede.

La democrazia è forte e resiliente, ma ha bisogno di cure. Può attecchire, come sta succedendo nell’Europa dell’Est. Ma può anche morire, persino di noia.


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