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Gli effetti del conflitto sull’economia italiana visti da Granelli

Il presidente degli artigiani: “Per via del conflitto, abbiamo perso il 30% del valore dell’esportazione verso Russia e Ucraina. Il comparto della moda ha addirittura perso il 42%, mentre quello dei macchinari il 26%”. Ma tutto è iniziato con l’invasione della Crimea otto anni fa…

Sotto il fuoco delle bombe non muoiono solo civili innocenti e soldati che si battono per la libertà del proprio Paese. Ci sono schegge pericolose, frutto dell’onda lunga del conflitto in Ucraina, che colpiscono pesantemente il sistema economico Italiano. Come spesso accade, a risentirne maggiormente sono le micro e piccole imprese della filiera artigianale. Per avere una panoramica precisa dei riverberi della guerra ingaggiata da Putin, abbiamo chiesto un parere a Marco Granelli, presidente nazionale di Confartigianato.

Presidente, si ha già un’idea dei contraccolpi che gli scontri in Ucraina stanno avendo sul sistema delle piccole e medie imprese italiane?

Purtroppo gli effetti deflagranti di questo conflitto li misuriamo ogni giorno. A dispetto di quanto si possa essere portati a pensare, ne risente il sistema economico nel suo complesso. Tanto più che la nostra economia è sostanzialmente di filiera. Chiaramente, in un quadro geopolitico così magmatico, il primo valore nel quale si registrano contrazioni più evidenti è legato alle esportazioni.

Di che numeri stiamo parlando?

La valutazione da fare, in questo contesto, è a monte. Nel senso che i grossi problemi con l’export nascono otto anni fa, a seguito dell’annessione della Crimea alla Russia. Il sistema Italia ha perso qualcosa come 27miliardi di esportazione in questo lasso temporale. Lo scorso anno l’export verso la Russia ha pesato per 7,7 miliardo, mentre quello verso l’Ucraina per 2,1 miliardi. Questo ultimo valore registra quindi un aumento del 20% delle esportazioni verso il Paese invaso. Di contro, per via del conflitto, abbiamo perso il 30% del valore dell’esportazione verso questi paesi. Il comparto della moda ha addirittura perso il 42%, mentre quello dei macchinari il 26. Teniamo presente che, il 35% del totale delle esportazioni, è operato dalle imprese artigiane.

Qual è la sua posizione in ordine alle sanzioni?

Il dato economico non può confortare, anzi. Sono fortemente preoccupato per la tenuta del Made in Italy e per tutta la fattura delle nostre eccellenze. Oltre a questo, la svalutazione del rublo sta è un altro tassello che complica il quadro.

Il caro energia è la scure.

Certo, così come la difficoltà nel reperimento delle materie prime che porta ad avere prezzi spropositati. Un limite ulteriore è rappresentato dalle forti limitazioni nel trasporto delle merci, che genera un ritardo insostenibile nelle consegne. Il settore dei trasporti è in ginocchio per via del caro gasolio. Da ultimo, le banche sono sempre più refrattarie a concedere credito alle imprese. Ma il vero problema, ai miei occhi, è un altro ed è quello che mi preoccupa maggiormente.

Ovvero?

Assisto quotidianamente a una rarefazione della fiducia negli imprenditori. Quella fiducia che gli artigiani erano riusciti a conquistare dopo due anni nei quali sono riusciti, tra le mille difficoltà, a reggere l’onda d’urto della pandemia. Se si perde l’entusiasmo si perde il motore di tutto. Nonostante questo, tengo a rimarcarlo, gli artigiani si siano dimostrati anche verso i profughi ucraini, un presidio fondamentale per la catena di solidarietà. Un’eccellenza anche in questo senso.

Dunque quale potrebbe essere una ricetta per uscire dall’impasse?

Pensare finalmente a un intervento energetico strutturale, e non a soluzioni tampone come è stato fatto fino a oggi.

In che modo dovrebbe articolarsi questa misura?

Partiamo da una prima considerazione. L’Italia è molto in ritardo sul fronte delle energie alternative. Ora è tempo di premere sull’acceleratore. Anche sotto il profilo degli iter burocratici autorizzativi. Sempre sul fronte energetico, va ricordata la sperequazione riservata alle piccole imprese, costrette a pagare quattro volte di più rispetto a quelle grandi. Peraltro in un contesto in cui paghiamo, come Paese, l’energia elettrica il 35% in più rispetto alla media europea.

Come energia alternativa lei pensa al nucleare?

Sul nucleare c’è un ragionamento aperto da tantissimo tempo. Ma, in questa fase, occorrerebbe pensare a qualcosa di diverso e che sia immediatamente percorribile come soluzione. L’idrogeno potrebbe fare al caso nostro.


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