La stampa Usa rivela il no di Gerusalemme all’export dello spyware a Kiev. Una vicenda che fotografa il bivio davanti al quale rischia di trovarsi il governo Bennett
Arabia Saudita, Azerbaigian, Messico e Ungheria sì. Estonia e Ucraina no. Le scelte di Israele sulle esportazioni del software spia Pegasus fanno discutere, dopo le ultime rivelazioni del Washington Post, che ha raccontato gli sforzi ucraini per rafforzare le proprie capacità di sorveglianza. L’Ucraina era appoggiata dagli Stati Uniti, il più stretto alleato di Israele. Che però nel 2019 ha detto no all’esportazione del controverso software sviluppato da Nso Group, società recentemente inserita nella lista nera dall’amministrazione Biden dopo che diversi media hanno rivelato che la sua tecnologia veniva utilizzata da regimi autoritari per prendere di mira dissidenti, giornalisti, attivisti per i diritti umani e persino diversi funzionari del dipartimento di Stato degli Stati Uniti, controllando le loro comunicazioni.
La bocciatura israeliana risalirebbe al 2019 ma l’esatta tempistica non è chiara, osserva il Washington Post. I timori su una possibile reazione della Russia hanno avuto effetto anche sugli accordi di Nso e l’Estonia. Il gruppo ha inizialmente concesso in licenza Pegasus all’Estonia ma ha successivamente imposto restrizioni sul suo uso.
L’azienda ha risposto definendo queste notizie “dicerie, allusioni politiche e falsità”. Il ministero della Difesa israeliano ha precisato che “le decisioni politiche relative ai controlli sulle esportazioni tengono conto di considerazioni di sicurezza e strategiche, che includono l’adesione agli accordi internazionali”. Parole che sembrano confermare quanto più volte sottolineato da diversi giornali, come il Guardian: le vendite di Pegasus sono spesso in linea con la politica estera israeliana. Ed è per questo che Israele avrebbe detto no all’Ucraina, per timore di irritare la Russia, su cui il governo israeliano conta guardando al possibile ritorno degli Stati Uniti nell’accordo nucleare Jcpoa.
Un alto funzionario dell’intelligence ucraina ha affermato che la decisione di Israele ha lasciato Kiev “confusa”. La vicenda è stata ripresa anche dal New York Times secondo cui un altro alto funzionario ucraino ha affermato che il suo governo sarebbe deluso da Israele. La tecnologia avrebbe, infatti, potuto essere utilizzata per monitorare i progressi militari della Russia nei mesi precedenti l’invasione e fornire a Kiev una migliore comprensione di ciò che stava per accadere.
Durante il suo discorso in collegamento con la Knesset, il Parlamento di Israele, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha criticato Israele per non aver fornito al suo Paese il sistema antimissile Iron Dome e altre armi difensive, oltreché per non essersi unito ad altre nazioni occidentali nell’imporre severe sanzioni economiche alla Russia. Ha criticato Israele, lui ebreo, invocando l’Olocausto, attirandosi le ire del governo di Gerusalemme. La guerra della Russia ha lo scopo di distruggere il popolo ucraino proprio come i nazisti avevano voluto la distruzione del popolo ebraico, ha detto. Dunque, “la mediazione può essere tra gli Stati, ma non tra il bene e il male”.
Successivamente, però, Zelensky ha fatto marcia indietro, lodando il ruolo di Israele e del governo di Naftali Bennett come negoziatore e sostenendo l’idea Gerusalemme come sede di un vertice Russia-Ucraina. Nelle ultime ore la stampa israeliana ha rivelato che alcuni veterani delle unità d’élite dell’esercito israeliano sono operativi sul suolo ucraino per addestrare le truppe contro l’avanzata russa.
In ogni caso, questa vicenda fotografa in maniera precisa e dettaglia alle difficoltà di Israele nel conflitto: prova a mediare forte dei buoni rapporti con entrambe le parti sfruttando il suo non essere parte della Nato, ma a che prezzo?