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Ucraina, la (difficile) mediazione del papa. Parla Giovagnoli

Lo storico dell’Università Cattolica: la condanna del papa contro il riarmo europeo va letta nel lungo periodo, a Zelensky ha dato parole di conforto. Santa Sede? Diverse sensibilità, ma vuole mediare nella guerra. Putin? La nomina di Paramonov una provocazione, rifiuteranno

Non un pacifista ma un pacificatore. Leggere il monito contro la guerra e la “follia” del riarmo di Papa Francesco con la sola lente dell’ideologia è un errore, dice Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica. Nella Santa Sede ci sono “sensibilità diverse” sulla guerra russa in Ucraina e un solo piano d’azione per provare a fermarla.

Per il papa l’aumento delle spese nella Difesa dei Paesi europei è una “pazzia”. Come legge questa dura condanna?

La leggo alla luce dell’impegno profuso da papa Francesco in queste settimane nella ricerca della pace, sopra ogni cosa. Questo suo appello contiene una riflessione sul “dopo”. In tutte le guerre si pongono le basi per gli anni a venire.

A cosa si riferisce?

Francesco parla di investimenti nei bilanci statali per le spese militari che seguono una prospettiva di lungo termine. Penso alla Germania, che ha deciso di investire più del 2% del Pil, o all’impegno del governo italiano. Ecco, credo che il papa faccia una differenza tra un sostegno immediato e un riarmo prolungato. Nella telefonata con Zelensky ha detto di “capire” la necessità di difendersi.

Le parole del papa avranno un impatto sulla politica italiana? Nei prossimi giorni il destino del governo Draghi si scriverà anche sulla questione della Difesa e l’invio di armi a Kiev.

Ogni forza politica valuterà se e come usare le frasi di Francesco, mi auguro non siano strumentalizzate. A prescindere dal papa, si può discutere sull’opportunità di un ordine del giorno, votato quasi all’unanimità, su una decisione delicata. L’idea degasperiana di un esercito comunitario era in funzione della pace. Ha senso oggi accelerare e muoversi al di fuori di un quadro europeo?

In questi giorni si discute molto di pacifismo. Ci può essere una pace “disarmata” di fronte a un’aggressione?

Credo che quella del papa sia una posizione di fondo. Un modo per ribadire il primato assoluto della pace. Più che un pacifista, Francesco è un pacificatore. Sta perseguendo la pace anche a costo di essere criticato per una apparente imparzialità. E pensa ancora a un ruolo di mediazione della Santa Sede.

Dove però ci sono sensibilità diverse. Il cardinale e segretario di Stato Pietro Parolin ad esempio ha aperto all’invio di armi per scopo difensivo.

Diverse sensibilità, vero, ma una sola direzione di marcia. Parolin ha ricordato un concetto proprio del catechismo, e cioè la legittima difesa, peraltro circoscrivendo la sua frase con tante specifiche. Non ha certo sdoganato il concetto di “guerra giusta”, estraneo a un cristiano, e non vedo grandi distanze dalle frasi riferite dal papa a Zelensky.

Intanto la Russia sfida la Santa Sede: vuole nominare ambasciatore Alexei Paramonov, il diplomatico che ha appena minacciato l’Italia di “conseguenze irreversibili”. Parolin può rifiutare le credenziali?

Già in passato la Santa Sede ha fatto in modo di non accreditare diplomatici sgraditi, a volte – è successo con la Francia – intervenendo a monte del processo. In questo caso siamo di fronte a un’aperta provocazione di Putin che nomina una persona sgradita all’Italia. In Vaticano non vorranno fare uno sgarbo al governo italiano, cercheranno altre strade.

Sullo sfondo c’è una frattura difficile da ricomporre con la chiesa ortodossa del patriarca Kirill, che ha sposato e benedetto la guerra. Il papa può permettersi uno strappo?

No, vuole tenere un canale aperto. Lo sforzo ecumenico è una cifra caratteristica del suo pontificato. Non sarà facile, non è mai facile per un papa parlare di pace durante una guerra, scontenta tutti. Valeva per Benedetto XV e Pio XII, vale per Francesco oggi.

Due anni fa si è rischiato uno strappo tra Stati Uniti di Donald Trump e Santa Sede sulla Cina. Anche con l’amministrazione Biden rimangono le distanze in politica estera?

I rapporti sono molto migliorati, con Trump e Pompeo si è rischiato uno strappo. La visita di Biden dal papa è stato un momento felice, sul piano politico e personale, queste cose contano. Ci sono sensibilità diverse, come ovvio, ma anche punti di incontro. Lo dimostra il canale, stretto, che il governo americano sta aprendo con la Cina per mediare nella guerra, come chiesto anche da Draghi.

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