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Non solo Ucraina, la minaccia viene da Sud. Parla Graziano

Il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare europeo, lancia un allarme dal fronte Sud. Dalla milizia russa Wagner nel Sahel al terrorismo jihadista, l’Ucraina non distragga tutte le forze europee, se ne approfitteranno. Difesa? Investire di più (e meglio)

Il rischio è quello di una grande operazione distrazione. Mentre la guerra russa in Ucraina scuote l’Europa sul fianco Est, i riflettori del mondo si spengono sul fianco Sud. E invece anche a Sud, nel Mediterraneo allargato, il bacino strategico che va da Gibilterra all’Iran, l’onda lunga della guerra si fa sentire.

A suonare un campanello d’allarme è il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare europeo, intervenuto al panel “Oltre il Mediterraneo” organizzato dalla Fondazione Farefuturo, il Comitato Atlantico Italiano e l’International Republican Institute (Iri). “Stiamo facendo i conti con la minaccia ibrida più complessa dopo la ritirata dall’Afghanistan”, spiega Graziano, alla guida dell’organo di vertice militare dell’Ue. Ibrida perché non è confinata a un solo campo o una sola dimensione.

C’è la minaccia militare, a suon di missili e sconfinamenti, che vede nell’Ucraina solo un primo atto. Graziano ripercorre la cronistoria. “Georgia 2008, Crimea 2014, Siria 2015, poi la Libia, il Mali, l’Africa centrale. L’assertività russa sta prendendo la forma di una manovra su più piani. Ad Est, può interessare altri Paesi, come la Georgia o la Moldavia”.

A Sud, in Africa, la strategia ibrida del Cremlino si appoggia su eserciti e milizie senza bandiera, con il consenso più o meno tacito di una manciata di governi in Africa centrale e settentrionale. È il caso della Wagner, l’armata di mercenari al servizio dell’oligarca Evgenji Prighozin, lo “chef” di Vladimir Putin. “Nel Sahel, in Mali e nell’area centrafricana non si registra solo una preoccupante crescita del fenomeno terroristico, ma anche una grave crescita della presenza destabilizzante della Wagner, che opera con tattiche ibride già viste in Crimea”, ammette il generale.

Anche alla penetrazione dei fucili e dei rubli russi in Mali si deve il ritiro dalla regione delle truppe francesi, con la recente chiusura dell’operazione Barkhane, nata cinque anni prima con l’intento di creare un perimetro di sicurezza per il terrorismo jihadista nel cuore del Sahel. Oggi quel perimetro non basta più, “il fianco Sud dell’Europa si sta spostando sempre più a Sud, verso il Corno D’Africa”. E la guerra ad Est distoglie attenzioni e forze, abbassa la tensione e apre varchi altrove. Così in Medio Oriente, nel convalescente Iraq, dove un missile sparato da una base iraniana ha sorpreso l’altra notte il consolato americano a Erbil, fortunatamente senza fare vittime.

“Le guerre innescano sempre un effetto domino di destabilizzazione”, commenta Graziano. La politica estera non prevede vuoti, “li colmano altri”, avvisa. Il terrorismo jihadista e la penetrazione russa e cinese in Africa rischiano di trarre vantaggio dalla distrazione di risorse europee destinate a puntellare il fianco orientale. “Dobbiamo imparare dagli errori del passato, abbiamo visto cosa è successo in Libia con l’avanzata di Turchia e Russia. Di fronte al dramma in Ucraina, l’Europa ha approvato in una manciata di ore lo stanziamento di 500 milioni di euro per l’acquisto di armi e l’assistenza a Kiev. Con la nota di Versailles l’Unione prende coscienza della propria missione, quella di creare una comunità effettiva di Difesa che deve operare a 360 gradi”, dice Graziano.

C’è una finestra politica che si può sfruttare. Sono un rumore di sottofondo i memento mori dell’austerity per un’Europa che di fronte alla guerra russa si è mobilitata come non aveva mai fatto, neanche durante la pandemia. “Abbiamo lavorato per disporre una forza di Difesa di 5000 uomini, capace di un dispiegamento rapido, capace di operare in tutti i domini – riprende – ora è il momento di investire di più nella Difesa. La Germania ha promesso di impegnare il 2% del Pil nazionale, dobbiamo tutti aumentare lo sforzo. Ma anche razionalizzarlo: non solo spendere più, ma spendere meglio. In Ue abbiamo 180 sistemi di armi a fronte dei 30 americani, è una contraddizione. Quel che è buono per la Nato, è buono anche per l’Ue”.

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