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Putin ci porterà alla guerra nucleare?

Il presidente russo minaccia l’Ucraina e l’Occidente. Ma la Guerra fredda, la teoria dei giochi e quella del leader pazzo sembrano rassicurare. Un indizio: non l’ha giocata come carta della disperazione o dell’ultimo minuto

Che cosa fa Vladimir Putin? Chi incontra? Chi ascolta? Ma soprattutto, come sta? Sono interrogativi a cui anche le intelligence occidentali stanno cercando di dare una risposta anche alla luce della minaccia nucleare lanciata dal presidente russo e dalla caduta della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, nelle mani delle truppe di Mosca dopo ore di combattimenti.

A metà febbraio, cioè una settimana prima dell’invasione, il settimanale statunitense Time sottolineava che la svolta iper-comunicativa dei servizi segreti anglosassoni sulla guerra in Ucraina potrebbe aver alimentato i sospetti di Putin di avere una talpa a palazzo, “rendendo paranoico un già isolato erede del Kgb”.

Più recentemente James Clapper, già direttore dell’Intelligence nazionale statunitense, ha definito la chiamata di altri 1.000 mercenari come un “segno di disperazione da parte di Putin” davanti a un’offensiva che non procede come sperato. “Pensava di poter entrare in Ucraina e che gli ucraini si sarebbero arresi”, ha detto alla CNN. Ma così non è andata.

Il New York Times ha raccontato che l’amministrazione Biden sta studiando una strategia per affrontare la Russia ma prima è “urgente” un riesame da parte delle agenzie di intelligence dello stato mentale del presidente Putin. Tra i fattori da valutare ci sono i due anni di isolamento legati alla pandemia (vivendo in una bolla, con tunnel disinfettanti che tutti gli ospiti devono attraversare prima di incontrarlo e quarantena obbligatorie fino anche a due settimane per alcuni visitatori) e la volontà di ricostruire la sfera di influenza della Russia e rafforzare la sua eredità politica. La tendenza di Putin, quando si sente intrappolato dalla sua stessa esagerazione, è rilanciare, hanno spiegato i funzionari dell’intelligence statunitense alla Casa Bianca e al Congresso. L’ha fatto indicato da una serie di possibili reazioni: bombardamenti indiscriminati sulle città ucraine per compensare i primi errori commessi nell’invasione, cyberattacchi diretti al sistema finanziario statunitense, minacce nucleari e tentativi di portare la guerra oltre i confini dell’Ucraina.

Gli Stati Uniti non sembrano l’unico Paese a valutare lo stato di salute del sessantanovenne presidente russo. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha notato che Putin potrebbe non agire razionalmente. Quel presidente francese Emmanuel Macron, uno dei leader che di recente ha incontrato di più l’omologo russo, che è stato colpito dal cambiamento di comportamento.

Alcuni analisti sostengono che Putin vuole essere visto come pazzo perché questo lo aiuterà a raggiungere i suoi obiettivi. La “teoria del pazzo” fu cavalcata anche dal presidente statunitense Richard Nixon, convinto che facendosi passare per anticomunista fuori controllo con una mano sul “bottone nucleare” avrebbe convinto i nord vietnamiti alla resa.

Ma c’è differenza tra reputazione (e inevitabilmente quella del presidente russo è in picchiata) e stato mentale, ha osservato Roseanne McManus, professoressa alla Pennsylvania State University, sul Washington Post. “Un comportamento strano non è sempre sufficiente a convincere la gente che un leader si comporterà in modo folle quando si tratta di usare la forza militare”, scrive l’esperta commentando un episodio come la riunione tra Putin e i vertici del governo e dell’intelligence della Russia, trasmessa in diretta televisiva. “Per esempio, la reputazione di pazzia del leader sovietico Nikita Krusciov è scemata nel tempo quando non ha dato seguito alle sue tirate con azioni di forza”.

Ma gli studi e le ricerche hanno portato la professoressa a concludere che “la maggior parte dei tipi di pazzia percepita non aumenta effettivamente la probabilità che gli avversari di un leader facciano marcia indietro”. Diverse le ragioni, tra cui l’imprevedibilità dei comportamenti dei pazzi per quanto percepiti e l’incapacità di questi ad assumere impegni credibili.

Riconducendo la teoria del pazzo a quella dei giochi, il professor Xavier Vives della Iese Business School su Project Syndicate e il ricercatore Kamil Galeev del Wilson Center in un lungo thread su Twitter sono arrivati a conclusioni non diverse: affinché la pazzia sia credibile, Putin deve costantemente dissimulare; se cede, rivela all’Occidente di aver perseguito una strategia calcolata per tutto il tempo e perdere un vantaggio strategico essenziale.

Ma Galeev ha declinato il ragionamento sulla deterrenza nucleare ripercorrendo alcuni episodio della Guerra fredda ed evidenziando come il fattore umano sia stato decisivo sia per il presunto attaccante sia per il presunto difensore: “Il fattore umano ostacola il reale impiego delle armi nucleari come arma non solo offensiva, ma anche difensiva. Se considero che qualsiasi cosa rimanga del mio avversario dopo il mio attacco potrebbe non contrattaccare (preferisce negoziare) allora l’intero meccanismo di deterrenza nucleare non funziona”. Ci sono situazioni in cui il singolo (il fattore umano, appunto) ha svolto un ruolo fondamentale nell’impedire un’escalation nucleare.

Il che, letto oggi, sembra una ragione in più per ridimensionare la minaccia nucleare di Putin, anche perché il presidente russo l’ha evocata sin dai primi giorni del conflitto.

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