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L’Ucraina e la verità da ricostruire (sui fatti)

Chi fa le pulci a Zelensky, chi accusa la Nato, chi ancora veste i panni del pacefondaio. Ma l’invasione russa in Ucraina è un fatto semplice, le opinioni sono contorno. Il commento del generale Carlo Jean

“Quando il cannone tuona, la verità fugge”, ha affermato Churchill. Ma i fatti, ad esempio i documenti e le azioni restano, anche se sono sempre interpretati e letti secondo le preferenze, gli interessi e le convinzioni ideologiche di ciascuno. La differenza è essenziale specie quando gli eventi suscitano emozioni forti che rischiano di annebbiare qualsiasi lettura della realtà. Avviene soprattutto nei conflitti e con la competizione dei media di diffondere immagini drammatiche, per aumentare la loro audience.

Le guerre si sono sempre combattute su due fronti: sul terreno e nell’info-sfera, cioè nello spazio delle informazioni. Su quest’ultimo, combattono non solo i paesi in guerra, ma l’intero mondo. È divenuto più importante oggi perché è “in tempo reale”, non differito come nel passato.

Spesso i media amplificano il conflitto. Fanno leva sulle emozioni più che sulle analisi razionali. Basti pensare all’insana attesa di chi si aspettava di vedere forti immagini delle violenze dei barbuti guerrieri ceceni o siriani, mandati dai russi non solo per sopperire alla loro carenza di fanteria, ma anche per terrorizzare gli ucraini.

Per ora è andata loro male. Le forze speciali cecene hanno subito forti perdite sia a Nord di Kiev che a Mariupol. Sembra che siano ripiegate per riorganizzarsi e leccarsi le ferite. Protestano contro gli ucraini che ungono le loro pallottole con grasso di maiale. Per loro, che sono musulmani, sarebbe una violazione dei diritti umani! In qualche piazza più o meno pulita nostrana, interverranno anche gli animalisti, a protestare contro la sorte toccata ai poveri maialini.

Le piacevolezze più varie sono state affermate – spesso urlate – sui media e nelle piazze. Capisco che esista sempre la tentazione di prendere per realtà le proprie speranze e di dichiararsi ottimisti per il successo delle trattative di tregua o di pace. Evita l’accusa di essere dei guerrafondai o dei “menagramo”. Capisco anche la tentazione – finché non finirà il conflitto e si potrà correre in aiuto del vincitore (ammesso che ce ne sia uno) di affermare – sempre in modo pensoso – che la situazione è troppo complessa e che le responsabilità sono di entrambi i contendenti.

Quello che mi disturba è il produrre dati “fasulli” o fatti inesistenti, spacciandoli per verità indiscutibili, oppure rifarsi a eventi di un passato che nulla ha che fare con la realtà presente della guerra in Ucraina. Alcuni casi mi sembrano tanto “bizzarri” da meritare di essere ricordati.

Dopo aver dimostrato la robustezza delle sue corde vocali urlando “no alla guerra, no alla Nato” (fin qui tutto bene, quelle sulla Nato sono idee sue), un importante leader sindacale invocava l’imposizione di un cessate il fuoco da parte dell’Onu. Chiaramente pensava che si possa modificarne la Carta, che prevede potere di veto dei cinque membri permanenti di cui uno è coinvolto nel conflitto e dovrebbe votare contro sé stesso. A parte questo, non è di certo stato a Srebrenica né ha visto che cosa l’Onu è capace di combinare (io ci sono stato).

Un docente universitario si è spinto ad affermare che bisogna disarmare gli ucraini, per impedire loro di continuare a combattere e a provocare la morte di donne e bambini. È una sua opinione e di tutte le opinioni anche di quelle che mi sembrano più “farlocche” devo prendere atto.

Poi, sempre secondo il nostro pensoso docente, la difesa dell’Italia e dell’Europa sarebbe imposta nella Nato, non solo dagli Usa e dal Canada, ma anche dall’Australia. Ha dimostrato di non conoscere che cosa sia e come funzioni l’Alleanza e, soprattutto, di non avere neppure una vaga idea dell’esistenza del North Atlantic Cooperation Council di cui l’Australia è “Enhanced Opportunity Partner” dal 2012, con intese riviste nel 2013 e 2017. Il suo grido di dolore “Ursula dove eri?” quando la Nato avrebbe effettuato cooperazioni illegali, violando i diritti dell’Ue, mi è sembrato tratto da un film di Totò.

“La madre di tutte le balle” – condivisa dal nostro “eroico docente universitario” con pensosi esperti di geopolitica e relazioni internazionali – è che Putin sia stato costretto a invadere l’Ucraina perché costrettovi dall’Occidente. A in parte corretto tale tesi, affermando che l’ha fatto per evitare il genocidio in corso della minoranza russofona. A parer mio è una sciocchezza. Basta leggere la “dottrina militare” e quella “di sicurezza” della Federazione russa, per rendersene conto.

Credo che il pericolo maggiore che voleva evitare Putin era l’europeizzazione e l’entrata dell’Ucraina nell’Ue, non nella Nato. La prima era stata all’origine delle rivoluzioni “Arancione” e “Maidan”. Per la Nato gli bastava il “NATO-Russia Founding Act”, denominato “accordo Solana-Primakov” del maggio 1997, che infatti Putin menziona nelle lettere inviate agli Usa e alla Nato. Beninteso, non è un fatto, ma una mia opinione che l’allargamento della Nato sia stato la vera causa del conflitto. Lo è come lo sono la denazificazione dell’Ucraina e la liberazione del paese dalla gang di incapaci, corrotti, drogati e gay, che la starebbero portando alla rovina.

Sul Corriere della Sera del 19 marzo, Gramellini ha preso “per i fondelli” il docente universitario di cui si è prima parlato. Mi sento in dovere di spezzare una lancia a suo favore. Ha detto che un docente come lui è pagato per pensare. Non è quindi colpa sua se gli manca il tempo per leggere.

Senza pietà, conduttori televisivi e direttori di giornali, continuano a invitarlo, dato che il pubblico si diverte a sentire le “sparate”, che continua imperterrito a fare. Una decina di giorni fa ha parlato tutto indignato di “enormi” esercitazioni Nato (mediamente di 7.000 uomini, un centinaio di aerei e una quarantina di navi), provocatorie per Putin. Si è però ben guardato di menzionare l’esercitazione Zapad – cioè Occidente – 2021 che ha coinvolto, in prossimità dei Paesi Baltici e della Polonia, 200.000 uomini, 1.000 aerei e un centinaio di navi, soprattutto russe.

Ma la più “gustosa” è, a parer mio, la proposta scritta sulle pagine di un noto quotidiano, di collegare le sanzioni al numero dei bambini uccisi in combattimento, Dopo le esperienze avute in Medio Oriente e i quattro anni e mezzo in Bosnia per l’attuazione di Dayton (che comportava anche l’“impartial assessment”, incluse sanzioni, quando si sparacchiavano), lo scritto dovrebbe fargli attribuire d’autorità il nome di Erode. Tra chi si combatte, si infiltrano sempre delinquenti che dalle sanzioni traggono profitto per gli stimoli che danno al “mercato nero”, da cui traggono profitto.

Avverrebbe come a Sarajevo, la storia del cui assedio è quella del suo “mercato nero” cogestito da serbi e bosniaci. Bambini verrebbero uccisi a centinaia, per far aumentare sanzioni e profitti del “nero”. Fortunatamente, la proposta non verrà presa sul serio da nessuno e i bambini che sfuggiranno alle bombe delle due parti sopravvivranno al proposto aumento delle sanzioni. Come sempre, la via dell’inferno è lastricata da buone intenzioni. Forse lo è anche il mio appello: Leggere! Leggere! Leggere! E possibilmente capire quanto si legge.


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