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Yang, un falco a Roma. Ritratto del consigliere di Xi

Nato a Shanghai, Yang Jiechi ha studiato nelle università occidentali e con Bush Jr è stato ambasciatore in America. Da dieci anni è il capo indiscusso della diplomazia cinese, un superministro. Oggi è a Roma per una (difficile) trattativa con Sullivan in hotel

Molto più di un ministro. Yang Jiechi è un’ombra del segretario-presidente Xi Jinping. A Roma, per incontrare il Consigliere per la Sicurezza Nazionale americana Jake Sullivan e discutere della guerra russa in Ucraina, la Cina ha inviato il più alto funzionario della sua diplomazia.

Sono le 12 quando il convoglio della delegazione cinese, immortalato dalla reporter del Foglio Giulia Pompili, irrompe a sirene spiegate nell’hotel di Balduina Rome Cavalieri, meta prediletta delle visite da Pechino. Sull’incontro bilaterale, cui farà seguito una visita di Sullivan al consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Luigi Mattiolo domattina, vige il silenzio più assoluto. È stato preparato da tempo, e “le aspettative sono basse”, scrive su twitter l’esperto di Cina Zack Cooper.

Bassa non è affatto la caratura del faccia a faccia. Yang è un volto noto a chi segue le vicende cinesi. Ex ministro degli Esteri dal 2007 al 2013 sotto la segreteria di Hu Jintao, è diventato un asse portante dell’era Xi, che infatti lo ha ricompensato con una sfilza di promozioni. Prima direttore dell’Ufficio della Commissione centrale degli Affari Esteri (Cofa), la più alta posizione diplomatica del partito. Dunque, nel 2013, membro del Politburo, la più alta carica del partito che lo fa svettare perfino sul capo della diplomazia cinese, il Consigliere di Stato e ministro degli Esteri Wang Yi.

Il consigliere è considerato un attento conoscitore degli Stati Uniti e per questo presiede tutti gli incontri di vertice con i funzionari diplomatici e della sicurezza americana. Una conoscenza che ha approfondito da ambasciatore a Washington dal 2001 al 2005, costruendo un rapporto personale con il presidente George Bush che, prima da diplomatico, poi da ministro, ha “portato in dote per arrivare alle più alte cariche del Politburo”, ha scritto James Green della Georgetown University.

Originario di Shanghai, Yang ha in effetti trascorso gran parte della sua carriera diplomatica negli States e prima ancora ha studiato a Londra alla Lse (London School of Economics), selezionato tra i 130 giovani diplomatici che Zhou Enlai a metà anni ’70 ha spedito in Occidente a studiare l’inglese in omaggio all’intesa ritrovata con l’America di Richard Nixon.

Se i primi tempi alla guida delle feluche cinesi gli hanno guadagnato la reputazione di colomba – sua la mediazione da cardiopalma all’indomani dell’incidente nei cieli cinesi tra un aereo-spia americano e uno di Pechino nel 2001 – oggi ha la fama di un hardliner.

L’ha confermata presiedendo la delegazione cinese all’incontro di vertice con gli Stati Uniti ad Anchorage, in Alaska nel marzo del 2021, uno dei primi test diplomatici per l’amministrazione Biden. Incontro aperto da un’ora di requisitoria di Yang in diretta tv contro le “violazioni dei diritti umani” negli Stati Uniti che ha innervosito non poco il segretario di Stato Antony Blinken e Sullivan rischiando di far saltare il resto del meeting. Un nuovo e meno teso vertice con il consigliere americano è invece andato in scena lo scorso ottobre in Svizzera, sei ore a Ginevra.

Da nove anni alla guida del Cofa, Yang, con la benedizione del segretario, ne ha fatto il più potente strumento della politica estera cinese (ben più del ministero di Wang) nonché della strategia di una “più grande diplomazia” avviata da Xi.

In questo disegno rientra la nuova Via della Seta cinese, che il funzionario impegnato nei colloqui romani segue in primissima linea come membro del “Piccolo gruppo di guida della One Belt One Road”, un organo del Consiglio di Stato presieduto da un altro membro del Politburo, Zhang Gaoli (l’alto ufficiale accusato di molestie dalla tennista cinese Peng Shuai). Ed era presente a Roma nel marzo del 2019, quando una maxi-delegazione cinese al seguito di Xi assisteva in diretta alla firma del memorandum che ha segnato l’adesione alla Via della Seta dell’Italia, primo e unico Paese del G7.

Tra i più convinti sostenitori della leadership di Xi, cui ha dedicato un altisonante saggio nel 2018 sul giornale di partito Qiushi e pronta ad essere riconfermata al ventesimo congresso del partito il prossimo ottobre, Yang è il regista indiscusso della rete diplomatica tessuta da Pechino per rispondere alla campagna di pressione americana.

Ha frequenti contatti telefonici con Putin, incontrato di persona nel 2018, non un dettaglio per il protocollo russo, e con il capo delle spie russe Nikolai Patrushev. A maggio scorso, dopo una conversazione con il presidente russo, ha definito i rapporti tra Cina e Russia “l’esempio perfetto di un nuovo tipo di relazione internazionale di mutuo beneficio”. Forse anche per questo da parte americana si nutrono poche speranze sulla buona riuscita della mediazione romana per convincere la Russia al cessate-il-fuoco in Ucraina.

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