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Lo strano caso del boom di passaporti diplomatici in Russia

Mosca avrebbe speso quasi 3,8 milioni di euro per stampare 175.000 passaporti diplomatici. Ma il ministero degli Esteri ha meno di un decimo dei dipendenti. Un modo per permettere agli oligarchi di aggirare le sanzioni? Uno strumento per l’intelligence?

Perché spendere quasi 3,8 milioni di euro per stampare 175.000 passaporti diplomatici quando i dipendenti del proprio ministero degli Affari esteri non sono più di 15.000 e soltanto un terzo di questi passa del tempo all’estero e ne ha dunque bisogno?

Questo interrogativo nasce dalle rivelazioni di Sota Vision, un sito russo di opposizione (tradotto in inglese dal Daily Mail): il ministero degli Affari esteri della Federazione Russa ha ordinato la stampa di quasi 175.000 passaporti diplomatici, al costo di oltre 300 milioni di rubli.

Perché farlo? Secondo il sito, questi passaporti potrebbero essere utilizzati da due diversi tipi di soggetti: i membri dell’élite governativa ed economica russa e le loro famiglie per eludere le sanzioni occidentali per la guerra in Ucraina sui viaggi internazionali e per evitare l’arresto quando sono all’estero; i dipendenti delle varie agenzie d’intelligence russe (Svr, Fsb e Fso) per operare all’estero sotto la cosiddetta “copertura ufficiale”. Infatti, ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, i titolari di passaporti diplomatici godono di immunità diplomatica e sono in genere soggetti a ispezioni molto limitate da parte del personale di sicurezza quando attraversano i confini internazionali.

Sono due i rischi per l’Occidente che ha imposto le più dure sanzioni contro la Federazione Russa dai tempi dell’Unione Sovietica durante la Guerra fredda: che l’élite legata a Vladimir Putin possa eludere le restrizioni vanificando gli obiettivi delle stesse; che l’intelligence russa rafforzi la propria presenza e penetrazione all’estero nonostante un recente repulisti da diversi Paesi nel mondo (compresa l’Italia).

Ma c’è il precedente di Assadollah Assadi, diplomatico iraniano condannato a febbraio del 2021 dal Tribunale di Anversa a 20 anni di carcere (il massimo della pena) con l’accusa di terrorismo in relazione all’attentato (sventato) contro una manifestazione della Resistenza iraniana a Parigi il 30 giugno del 2018 a cui partecipavano diversi esponenti di spicco della politica internazionale, tra cui l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, fedelissimo dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

In quel caso il tribunale aveva respinto tutte le difese, compresa l’immunità diplomatica. Assadi aveva poi rinunciato al ricorso in Appello rendendo definitiva quella sentenza che è stata uno “spartiacque sulle regole che devono sovrintendere l’immunità diplomatica”, “un precedente importantissimo per le regole internazionali”, come spiegava l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri, a Formiche.net.


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