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Caos in Pakistan. Scontro Usa-Cina sullo sfondo

Il primo ministro pakistano ha respinto una mozione di sfiducia e portato il presidente a sciogliere il parlamento. Caos nel principale alleato cinese, accuse di Khan agli Usa

Il primo ministro pakistano, Imran Khan, ha impedito oggi, domenica 3 aprile, il voto parlamentare per togliergli la fiducia, dopo aver dichiarato che si trattava di una mossa orchestrata dagli Stati Uniti. Il presidente Arif Alvi ha poco dopo sciolto il parlamento su richiesta del premier.

Ore concitate. La decisione è stata assunta dopo che il vice presidente dell’Assemblea nazionale, Qasim Khan Suri, ha impedito il voto su una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione contro il governo Khan, dichiarandola in contraddizione con l’articolo 5 della Costituzione sulla “lealtà allo Stato”. Pochi minuti dopo, Khan si è rivolto alla nazione con un messaggio video nel quale si è congratulato con Suri, e ha suggerito al capo dello Stato di “sciogliere le camere, consentire che il potere torni al popolo e convocare nuove elezioni”.

“Chiedo alla gente di prepararsi per le prossime elezioni. Grazie a Dio, una cospirazione per rovesciare il governo è fallita”, ha detto Khan nel suo discorso. Le forse di sicurezza hanno messo sotto controllo Islamabad per evitare disordini. Giganteschi container metallici hanno bloccato le strade e gli ingressi all’enclave diplomatica della capitale, al Parlamento e ad altre installazioni governative sensibili nella capitale. Il premier aveva esortato i suoi sostenitori a scendere in piazza contro il voto di sfiducia.

I partiti dell’opposizione dicono che Khan non è riuscito a far rivivere un’economia colpita dalla pandemia di coronavirus e a mantenere le promesse di rendere il suo governo più trasparente e responsabile, e per queste pesanti ragioni aveva presentato la mozione di sfiducia — che avrebbe voluto votare anche con l’appoggio di alcuni deputati del partito di governo.

“Come posso accettare il risultato quando l’intero processo è incostituzionale?” aveva detto Khan a un gruppo selezionato di giornalisti stranieri convocati ieri nel suo ufficio, mentre parlava di “interferenze straniere” nei processi istituzionali pakistani: “La democrazia funziona sull’autorità morale; quale autorità morale è rimasta dopo questa connivenza?”. Concetti ripetuti oggi in un video diffuso dopo l’imposizione del corto circuito istituzionale.

“La mossa per estromettermi è una palese interferenza degli Stati Uniti nella politica interna [pakistana]”, ha detto, definendola un tentativo di “regime change” legato alle sue scelte in politica estera che spesso prediligono i rapporti con Cina e Russia. Khan, presidente di uno dei principali Paesi alleati della Repubblica popolare e primo ministro di una potenza nucleare che ha un ruolo centrale nelle dinamiche centro-asiatiche e mediorientali, ha usato un wording ben selezionato.

“Interferenza”, “democrazia”, “regime change” sono parole che costantemente riguardano gli affari internazionali in questo momento e spesso sono usate come accuse agli Usa dai Paesi che oppongono il loro modello autoritario a quello democratico occidentale. L’insistenza di Khan sul coinvolgimento degli Stati Uniti nei tentativi di spodestarlo sfrutta inoltre una sfiducia profondamente radicata tra molti in Pakistan sulle intenzioni degli Stati Uniti, in particolare dopo l’11 settembre.

C’è un serbatoio di sentimento anti-americano nel Paese, che può essere strumentalizzato facilmente da politici come Khan. Dall’altra parte gli Stati Uniti considerano il Pakistan come alleato poco affidabile, accusandolo di aver fatto anche il doppio gioco nella lotta al terrorismo — per seguire una propria agenda — è lo stesso con la Cina.

Il momento è molto delicato se si considera che non più tardi di ieri, il capo dell’esercito, il generale Qamar Javed Bajwa, aveva detto che il Pakistan avrebbe voluto e dovuto espandere i suoi legami con Washington. Bajwa ha detto a una conferenza sulla sicurezza a Islamabad che “condividiamo una lunga storia di relazioni eccellenti e strategiche con gli Stati Uniti, che rimangono il nostro più grande mercato di esportazione”.

Parole preoccupanti per Pechino. Mentre il governo pakistano ha perseguito accordi di sviluppo multimiliardari con la Cina, il rivale strategico degli Stati Uniti, l’esercito sembra intenzionato a non compromettere le relazioni con Washington, che in passato gli ha fornito miliardi di dollari in aiuti militari.

Il presidente americano Joe Biden non ha mai chiamato Khan da quando è entrato in carica, ma la Casa Bianca ha chiaramente negato ogni genere di accusa su piani per rovesciarlo. Le relazioni tra i due Paesi sono tese in particolare sull’Afghanistan, dove Washington ha accusato il Pakistan di aver sostenuto, portandola al successo, l’insurrezione talebana che ha portato l’anno scorso a un caotico ritiro delle forze statunitensi e alleate.

Non bastasse, la situazione nel Paese è surriscaldata dal voto amministrativo nel Punjab, dove Khan potrebbe perdere la maggioranza nella più importante delle quattro province in cui è diviso il Pakistan, dove vive il 60 per cento dei 220 milioni di abitanti.

I principali partiti dell’opposizione pakistana, le cui ideologie spaziano da sinistra a destra fino alla religione radicale, si sono mobilitati per l’estromissione di Khan, accusato da sempre di avere uno stile conflittuale nel gestire la sua leadership. Il coinvolgimento dell’esercito nelle elezioni vinte da Khan nel 2018, quando arrivò alla politica come star internazionale del cricket, ha minato la sua legittimità fin dall’inizio, creando le basi per gli attuali disordini. L’esercito pakistano ha governato direttamente il Pakistan per più della metà dei suoi 75 anni di storia, rovesciando i successivi governi democraticamente eletti. Per il resto del tempo ha avuto un ascendente importante sui governi eletti.

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