Papa Francesco a Malta pochi giorni fa e padre Paolo Dall’Oglio in Siria, sequestrato ormai da nove anni. Cosa hanno in comune in questo momento di conflitto atroce tra Russia e Ucraina? La riflessione di Riccardo Cristiano sul senso della Chiesa globale oggi
Mentre il presidente ucraino si accinge a parlare all’Onu mi viene da chiedermi perché si sia parlato poco di Malta, del viaggio di Francesco a Malta. Eppure lì è emerso il volto di una Chiesa globale, non più soltanto occidentale, proprio nelle ore in cui da Mosca usciva il volto del nazionalismo ecclesiale; capovolgendolo ne possiamo vedere altri, sempre nazionalisti ma di segno opposto.
È dai tempi del grande discorso di Paolo VI all’Onu che il rapporto tra questo consesso e una Chiesa globale interessa tanti studiosi. Oggi io direi che chi non capisce Francesco non capisce la Chiesa globale, la vorrebbe ancora occidentale, come ai tempi di Costantinopoli. Invece la Chiesa globale si adatta ai tempi irrealizzati ma sempre auspicabili dell’Onu, del multilateralismo.
Il presidente ucraino parlerà all’Onu di Bucha, che non sarà unica, altre sono destinate ad emergere, come altre seguirono la prima Bucha scoperta nei Balcani, tanti anni fa, o in Siria, in anni più recenti. Anche per questo sarebbe stato importante seguire meglio il discorso di Malta.
Poche ore prima della scoperta di Bucha oltre novanta fuggitivi da posti non tanto dissimili dall’Ucraina di oggi sono affogati nel Mediterraneo. Altri invece sono internati in lager di Stato libici, cioè a due passi da qui, dove chi viene fermato dalla Guardia Costiera Libica viene “accompagnato”.
Una Chiesa globale sa tutto questo, perché è la sua storia, la storia dei suoi figli, del suo mondo. Chi invece incarna un altro “mondo”, magari quello russo, vede con un occhio solo. Vede i torti patiti, non quelli arrecati, e celebra -nelle stesse ore del grande viaggio maltese – la sua voglia di vittoria insieme ai capi militari di quel mondo, di quell’esercito.
A questa Chiesa globale cosa servirebbe? Servono quelli che potremmo chiamare i “gesuiti cinesi”, cioè membri che sappiano entrare nel profondo di una cultura, diventare parte di essa, e portare la Chiesa globale a vivere con lei, e lei a conoscere un altro mappamondo. Solo così il mappamondo conoscerà lei come sua parte, non parte avversa.
La Chiesa nazionalista invece cosa farà? Davanti a Bucha seguirà la cultura del “dubbio”, o del negazionismo. È stato così nei Balcani, in Siria, in altri casi. Sarà così nelle prossime Bucha ucraine? Questo radicalismo nazionalista ha due obiettivi: trovare alleati almeno nel “dubbio” (di cosa non si può dubitare?) e radicalizzare gli altri nella rabbia indomabile. Il circuito è infernale.
È per questo che non abbiamo voluto prestare un po’ di attenzione alla Chiesa globale che abbiamo visto a Malta? Quella Chiesa ci libera dal radicalismo, dalla eco sorda della rabbia profonda. Ci spiega che noi dobbiamo inorridire per Bucha perché qualcun’altra l’abbiamo causata (il massacro di Mi Lay avvenne il 16 marzo 1968) l’abbiamo osservata (Srebrenica), l’abbiamo ignorata (basti pensare alle fosse comune mai cercate nella Valle dell’Oronte siriana). Tutto questo non porta a relativizzare, a rendere tutto grigio, al contrario! Serve a capire che bisogna uscirne, con uno sguardo globale.
Abbiamo scelto di sostenere con le armi la resistenza degli ucraini, sapendo l’orrore che l’occupazione nazionalista (o imperialista) è. C’è qualche esempio che ci può guidare in avanti, in questi terribili frangenti?
Io vedo un esempio illuminante. È un esempio italiano, rimosso. Questo esempio ha un nome e un cognome: si chiama Paolo Dall’Oglio. Per me è come se fosse in Ucraina. E spiego perché.
Dopo aver inutilmente chiesto ai “pacifisti” di andare in Siria come battaglioni disarmati di interposizione, capì che bisognava armare la resistenza popolare. E lo disse. Armare la resistenza per lui voleva dire impedire cento Bucha. Ma mentre diceva questo, da vero discepolo di una Chiesa globale, indicava una strada di mediazione, nei Brics. Sì, era convinto che loro, i soggetti esterni alla contesa est-ovest, ma del mondo, potessero aiutare a cambiare il corso degli eventi. E non si fermò qui. A entrambe le arti che volevano “tutta la Siria, che è una”, come dicono sempre, propose un piano: rendere federale il Paese.
Uno sì, ma con forti autonomie, federale dunque. Per fermare gli urti, spesso creati ad arte dai provocatori, tra le comunità, pensò anche alla sua articolazione, composizione. E non si fermò qui. Mentre le opzioni che proponeva – armare le resistenza non fanatizzata, coinvolgere i Brics, elaborare una federalizzazione del territorio conservandone l’integrità – venivano bellamente ignorate, sembra che fu contattato per fare da ponte tra i protagonisti del prossimo devastante scontro, quello tra Isis e curdi. Lo afferma l’uomo che era con lui il giorno del suo sequestro da parte dell’Isis. Che accadde? Secondo questo racconto i curdi gli chiesero di portare una carta segreta ai capi dell’Isis per evitare l’ultimo scontro. E lui? Andò? Sì, andò e io posso dire che ci scrisse di aver “accettato” di andare, chiedendoci di pregare per lui. Mai era successo prima che parlasse così.
Dunque l’uomo che aveva capito che bisognava armare la resistenza, sapeva anche che se si voleva uscire dal gorgo bisognava coinvolgere altre potenze, che bisognava lavorare sugli assetti territoriali, e cercare di spegnere il fuoco. Ma per lui, se davvero si voleva spegnere il fuoco, ciò richiedeva l’uso delle sue braccia, non con quelle degli altri.
Paolo Dall’Oglio per me sapeva tutto del viaggio di Francesco a Malta, della sua Chiesa globale. Trovo che la sua vera storia, che nove anni dopo il suo sequestro ancora non si conosce, ma si potrebbe conoscere se qualcuno volesse, non seguiva ideologie, non sognava fiamme purificatrici, ma l’interesse di un popolo, vero. Non desiderava esprimere “un giudizio pubblico secondo giustizia”, ma difendere nei diritti e salvare nelle prospettive concrete. Per questo io credo che ha usato le sue braccia per tentare di spegnere le fiamme, quelle che noi neanche vedevamo arrivare.
Tutto questo sarebbe stato impossibile barricati in una posizione angelicata, come il rifiuto di armare i resistenti, o con una posizione utilitarista, come la non ricerca di mediatori, o con una posizione sclerotizzata che non lavorava sulle ipotesi di assetto territoriale. In quegli anni tremendi è stato un vero “gesuita cinese” ma in terra araba. Il suo esempio indica una strada anche a noi, che non siamo né gesuiti, né cinesi, né arabi, davanti all’Ucraina. Come La Pira, citato da Francesco a Malta, vedeva l’urgenza di una misura umana davanti all’aggressività infantile. Per questo io sono convinto che avrebbe convenuto con il professor Massimo Borghesi, che commentando il discorso maltese di Francesco, ha scritto: “L’Occidente vuole che l’Ucraina pervenga alla pace”? Sì, questo è il punto. E Dall’Oglio ha detto di Assad ciò che nessun critico di Putin oggi dice del presidente russo. Ma ha preso le sue personalissime gambe per andare a Raqqa, e fermare le fiamme. Questo è l’esempio che oggi ci serve. Questo è l’esempio che tutti, in modi meno rischiosi, potremmo seguire. Tutto sommato anche un umanista se è veramente tale può intuire cosa sia la Chiesa globale.
Per riuscire a camminare su questa strada bisogna però avere il coraggio di vedere la realtà com’è. Le fosse comuni non cascano dal cielo. Non nascono nei teatri dell’assurdo, o in quelli hollywoodiani. Le braccia legate dietro le spalle non sono escamotage. Wagner non è il nome di un grande musicista, ma di un gruppo di mercenari pagati da una grande potenza operativi nel mondo. Kadyrov non è dubbio, ma una certezza militare, usata da Putin da tanti anni, non da oggi. Piaccia o non piaccia a chi vuole aspettare inchieste affidate a Paesi “neutrali”. Intanto le cupole a cipolla delle stupende chiese ortodosse fanno da sfondo a mappe satellitari che indicano le fosse comuni.
(Foto di Odessa)