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La guerra fa un’altra vittima: il Consiglio Nato-Russia

All’ordine del giorno della ministeriale Nato la richiesta di annullare il Nato-Russia Founding Act e il Consiglio Nato-Russia. Nata a Roma con il governo Berlusconi, la camera di decompressione fra avversari è un’altra vittima illustre di Putin

Tra le tante vittime illustri della guerra russa in Ucraina ce n’è una che più di altre dimostra un cambio di fase storico, forse irrevocabile. Il Consiglio Nato-Russia non è ancora morto, ma è in terapia intensiva. Inaugurata nel 2002 con una stretta di mano a Roma, durante il vertice di Pratica di Mare, tra l’allora segretario della Nato George Robertson e il presidente russo Vladimir Putin, l’unica camera di compensazione fra gli alleati atlantici e il governo russo è a un passo dal chiudere i battenti.

Come ha scritto Claudio Tito su Repubblica, all’ordine del giorno della ministeriale Nato di mercoledì è stata iscritta la richiesta di dare disdetta all’accordo fondativo del Consiglio. In pressing ci sono i Paesi est-europei, convinti che non abbia più senso tenere in piedi una struttura di raccordo. Non è detto che la risoluzione passi. Ma l’invasione russa del 24 febbraio scorso ha di fatto già spogliato l’organismo della missione che pure in passato aveva suscitato speranze.

L’ultima riunione, in un clima già prebellico, è andata in scena a Bruxelles lo scorso 12 gennaio. Conclusa in un nulla di fatto: la Nato ha rispedito al mittente i diktat di Mosca sulla sovranità ucraina ed entrambe le parti hanno preso atto di un dialogo tra sordomuti, ridotto al protocollo. Probabile a questo punto che sia il summit Nato di Madrid, il prossimo giugno, a seppellire definitivamente il meccanismo di raccordo con lo storico avversario.

Con il Consiglio, la guerra di aggressione russa ha spazzato via il “Nato-Russia Founding Act”, siglato nel 1997 dall’ex primo ministro russo Evgenij Primakov e l’ex numero uno dell’Alleanza, Javier Solana. Accordo non vincolante, che tuttavia per due decenni è stato il riferimento per i rapporti tra i due blocchi, dal controllo del riarmo nucleare alle rivendicazioni in Est-Europa.

Non un semplice pezzo di carta per Mosca, se è vero che sull’intesa fondativa del ‘97, da cui poi ha preso forma il Consiglio, Putin ha costruito in questi mesi la narrazione di un “tradimento” delle promesse fatte dalla Nato in merito a un allargamento verso Est. Promesse che nel testo non trovano riscontro, tanto che entrambi le parti furono all’epoca concordi nel definire la “trasformazione” della Nato “un processo che continuerà”.

Sono trascorsi venticinque anni ma sembra un’era geologica. Nell’accordo si statuiva come Russia e Nato non si considerassero “avversari reciproci”. La Russia post-sovietica sognava un ruolo di primo piano nell’architettura di sicurezza europea e una piena legittimazione nel sistema occidentale. Pochi anni dopo, nel 2001, in un noto discorso alla Rice University di Houston, ospite di George Bush, Putin si diceva pronto a “espandere la nostra cooperazione con la Nato” arrivando perfino a prefigurare per la Russia un diritto di voto, e di veto, nell’Alleanza.

La guerra al terrore jihadista ha prolungato quella che in molti studiosi e analisti, alcuni col senno di poi, definiscono oggi un’illusione: immaginare un unico ombrello di sicurezza europeo che includesse la Russia. L’invasione della Crimea e del Donbas nel 2014 e la guerra in corso hanno spento le ultime speranze. Di qui il dibattito sull’opportunità di tenere in vita meccanismi figli di epoche passate, remote.

Del Consiglio Nato-Russia ha sempre fatto un vanto Silvio Berlusconi, che nel 2002 era presidente del Consiglio italiano e fino in tempi recenti ha sempre rivendicato lo “spirito di Pratica di Mare” come stella polare del confronto con il Cremlino. Già nei primi anni di vita il Cnr ha dovuto ridimensionare la sua missione. Nelle intenzioni iniziali doveva trasformarsi in una vera stanza di decompressione per le crisi fra blocchi, con un dialogo declinato anche a livello bilaterale, con i singoli Stati membri della Nato.

Il crescendo di tensioni e sospetti reciproci ha trasformato il dialogo in un confronto tra posizioni pre-determinate, monolitiche. Pochi e secondari i fronti che hanno visto un’effettiva cooperazione in campo. È il caso delle missioni di salvataggio in mare: dopo la tragedia del sottomarino russo Kursk, affondato con l’equipaggio nel 2000, Nato e Russia hanno condotto tre esercitazioni di search-and-rescue congiunte tra il 2005 e il 2011. Sporadiche le riunioni dopo il 2014 e quasi mai definitive, incentrate per lo più sul quadrante asiatico e la guerra in Afghanistan.

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