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Conte parla dell’Ucraina come un diplomatico cinese

Evitare logiche da Guerra fredda e blocchi contrapposti. La linea del presidente M5S non è diversa da quella dell’ambasciatore di Pechino a Roma. E sugli “aiuti russi”… L’intervista dell’ex premier a Repubblica

Indovinello: chi ha pronunciato queste due frasi parlando dell’aggressione russa dell’Ucraina?

La prima: “Bisogna assolutamente evitare che la vecchia logica della Guerra fredda si riproponga in termini ancora più dirompenti del passato con il blocco della Nato da un lato e un blocco euro-asiatico dall’altro lato”.

La seconda: “Nel lungo termine è necessario abbandonare la mentalità della Guerra Fredda e opporsi allo scontro tra i blocchi”.

Frasi molto simili. Pronunciate però da due persone che ricoprono incarichi assai diversi.

La prima è di Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, intervistato da Repubblica all’indomani delle immagini giunte da Bucha – un’intervista in cui l’ex presidente del Consiglio non pronuncia mai il nome dell’aggressore, il presidente russo Vladimir Putin, così come non lo cita nel tweet in cui ha commentato “l’orrore delle immagini che giungono da Bucha”.

La seconda è di Li Junhua, ambasciatore cinese in Italia, che ha presentato “il piano della Cina per la pace in Ucraina” in una recente intervista al quotidiano La Verità.

Nei giorni scorsi l’ex presidente del Consiglio ha spesso ripetuto nei suoi interventi pubblici che “la Cina possa avere un importante ruolo per la soluzione politica del conflitto” in Ucraina nonostante le tante ambiguità di Pechino che hanno spinto molti analisti a frenare sull’ipotesi di un coinvolgimento nella mediazione.

A Repubblica non ha rinunciato a qualche critica agli Stati Uniti. “Quando Macron ne decretò la morte cerebrale, io lo ritenni un giudizio errato”, spiega. Poi, però, il “ma”: “Ma non dobbiamo nasconderci le contraddizioni in cui si avvolge da anni: il disimpegno degli Usa in Medio Oriente, il ritiro non concordato in Afghanistan, la scarsa attenzione per l’area del Mediterraneo ci inducono a valutare come gli interessi strategici dell’Italia e dell’Unione Europea non sempre siano coincidenti con quelli degli Stati Uniti”.

Critiche anche alla Nato, con la stessa formula: “Io penso che non dobbiamo in alcun modo mettere in discussione la nostra collocazione euro-atlantica”. Poi, di nuovo, l’avversativa. “Vedo però diffondersi, soprattutto sulla scia emotiva di questa guerra, un vetero-atlantismo di stampo fideistico che, unito a un oltranzismo bellicista, rischia di portare ulteriori guai a noi e ai nostri alleati”.

La reazione a questo conflitto “non può consistere in una forsennata rincorsa al riarmo nell’ambito della Nato e dei Paesi con maggiore spazio fiscale come la Germania”, ha sostenuto ancora Conte. Poi ha parlato così dell’obiettivo del 2% del Prodotto interno lordo in spesa militare, dimenticando i piani concordati nel 2014 e seguiti dai vari governi che si sono succeduti: “Finalmente anche il governo ha chiarito che il 2024 è una data meramente indicativa e che va definito un piano temporale compatibile con il nostro Paese, che già oggi si ritrova sul ciglio di una pesante recessione”. Dito puntato contro alcune forze politiche che “scherzano col fuoco”, come Fratelli d’Italia che, dice Conte, “vorrebbe armare anche i Panda e deride le famiglie che non hanno nulla e percepiscono il reddito di cittadinanza”.

Niente di nuovo, anche qui. È la linea scelta dall’ex presidente del Consiglio, ma anche da alcuni pacifisti di maniera e i putiniani dichiarati: accusare il governo di spendere in difesa ma non in istruzione dipingendo un’Italia allo sfascio. Ciò – direttamente o indirettamente – fa un doppio regalo a Putin: dipingere l’Italia come un Paese in difficoltà economiche e alimentare tensioni sociali. Il tutto per disunire il Paese e frenare le spese militari, gli aiuti all’Ucraina e dunque il rafforzamento dell’Unione europea e della Nato.

L’ultima domanda dell’intervista concessa a Repubblica è sugli “aiuti” russi tra marzo e aprile del 2020. “Crede ancora che non abbiano spiato?”, è la domanda. Risposta secca, forse seccata: “Senta, ho chiesto io di essere ascoltato dal Copasir prima ancora di essere convocato, per riferire tutte le informazioni in mio possesso. Ho chiarito che alla luce delle informazioni che mi sono state sin qui riferite dai comparti interessati (Difesa, Intelligence, Protezione civile) non sono emersi elementi di criticità che possano far pensare che la missione russa abbia travalicato i confini sanitari”.

Di quanto accaduto due anni fa in Lombardia attorno alla missione russa con ogni probabilità riferirà martedì al Copasir anche il presidente del Consiglio Mario Draghi. Altre audizioni sono attese nelle prossime settimane, come quella del generale Luciano Portolano, allora a capo del Comando operativo di vertice interforze e oggi segretario generale della Difesa. Dopo le ultime rivelazioni di stampa, emerse dopo lo scaricabarile di Conte sui ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini nonostante una decisione riconducibile direttamente a Palazzo Chigi, è necessario fare chiarezza sulle responsabilità politiche di ciò che è accaduto. Non soltanto su che cosa hanno fatto i russi, ma anche su che cosa avrebbero potuto fare.



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