Qualcuno vuole davvero chiudere la guerra russa in Ucraina? Zelensky sì, ma da solo non può farcela. Putin ha fallito la fase uno e non è detto che riesca nella fase due. Ma a questo punto non può più tornare indietro. Il commento del generale Mario Arpino
Dopo tanto rullare di tamburi, con enorme consumo di carburante, grande usura di mezzi e spreco di energie in oltre un semestre di improbabili “esercitazioni”, sono già trascorsi un paio di mesi dalle prime cannonate, ma il sanguinoso stallo in Ucraina non si è ancora risolto. Lo si vuole effettivamente risolvere? Cominciano a sorgere seri dubbi.
Volodymyr Zelensky certamente lo vorrebbe, e per questo continua a chiedere armi, supporti ed a parlare con tutto il mondo, tranne che con i Russi. Bisogna capire se il padrino Joe Biden glielo consentirà. Anche Vladimir Putin continua a parlare, a dire tutto e il contrario, ma senza lasciar capire in modo intellegibile ciò che effettivamente vorrebbe ”fare da grande”. Per ora, è riuscito solo a non essere considerato tale.
Certo, dal punto di vista tattico e dell’impiego delle forze, che, come può accadere agli autocrati, forse non sono del livello e della qualità che gli avevano fatto credere, è incappato in una lunga serie di errori. Ma è sotto gli occhi di tutti (e gli esperti militari osservano increduli) che la sproporzione delle forze a suo favore è tale che, in due mesi, almeno un obiettivo limitato avrebbe anche potuto raggiungerlo.
Invece no, solo da poco, con la così detta “fase due” del conflitto, si è concentrato sulla città costiera di Mariupol e del Donbass (russofono e in parte anche filorusso) dando ormai per scontato il possesso della Crimea. Sta anche lasciando intendere che, una volta acquisito questo obiettivo, sarà disponibile a trattare per concludere la guerra. Ma anche su questo, come su tutto ciò che dice, è lecito porre seri dubbi.
Certo, per i russi Mariupol è importante. Il possesso della città, che Putin, ad eccezione della fabbrica di acciaio, nei cui tunnel sono asserragliati gruppi armati e un buon numero di cittadini, dice di considerare ormai acquisito, consente di creare un corridoio militarmente percorribile tra la penisola di Crimea e tutto il Donbass (e non solo le due repubbliche filorusse d Donetsk e Lugansk).
Ciò consentirebbe ai russi di congiungersi con le truppe già impegnate a sud e di conquistare anche la città di Dnipro, che faciliterebbe la strada per Odessa e il suo porto. Con ciò, l’Ucraina verrebbe geograficamente esclusa dal Mar d’Azov, che resterebbe per intero in mani russe. Ottimo risultato da sbandierare in patria, visto che il sud dell’Ucraina per secoli aveva fatto parte dell’impero degli Zar e, successivamente, dei sovietici. Ma fino qui siamo ancora ad azioni tattiche, il cui completamento potrebbe soddisfare Putin solo per un breve lasso di tempo. Le tattiche servono solo a portare avanti una strategia, che è soprattutto azione di pensiero.
A nostro avviso la strategia di Putin, al di là di alcune tappe di percorso comunque indispensabili, guarda molto più lontano, ed è una strategia che forse gli occupa la mente sin dai tempi di Gorbachev, di Eltsin e del collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Se Samuel Huntinghton, come Francis Fukuyama, immaginava un non troppo futuro “scontro di civiltà” ed un nuovo ordine basato sopra tutto su religione e cultura (forse in riferimento all’orientalista britannico Bernard Lewis e al suo articolo sull’origine della rabbia musulmana (The Roots of Muslim Rage – Settembre 1990), Putin aveva già intravisto per il dopo Guerra Fredda qualcosa di molto diverso.
Era ed è semplicemente rancoroso verso l’Occidente. Ha sempre pensato di sfidarlo, per sostituirne la cultura di stampo democratico, che reputa farraginosa, inconcludente e invadente, con una cultura sempre occidentale, ma di matrice russa, maggiormente assertiva in termini di autorità e velocità decisionale. Tipica di quelle regioni che la Geopolitica definisce “geograficamente centrali”, quindi “isolate” dagli scambi culturali che caratterizzano chi ha sempre avuto accesso ai mari navigabili. Ma ora, si dirà, ci sono i trasporti aerei. Verissimo, ma è altrettanto vero che il formarsi di una cultura radicata, geneticamente ereditata, necessita almeno di un millennio. Certamente un solo secolo non basta.
Ed ecco che le anziane teorie geopolitiche (ricordiamo Maham, Mackinder, Spikman, Rougeron e anche l’odiato Haushofer), un tempo cosi diffuse, con la loro pur limitata capacità di predizione ci possono ancora aiutare a districarci anche tra quelli che potrebbero essere i pensieri, tutt’alto che improvvisati su immediati impulsi della mente, che guidano la lenta, ma continua, curva comportamentale del presidente Putin. Per lanciarsi nell’avventura, evidentemente attendeva solo che maturasse la congiuntura favorevole. Nell’elezione di un presidente Usa come Biden, assieme al dilagare di una pandemia globale, la rapida ascesa della Cina, all’asservimento energetico con le scelte “verdi” dell’Unione Europea e le spinte dei Paesi dell’Est all’interno della Nato, ha probabilmente creduto di individuare il momento di debolezza che andava cercando.
Sull’efficacia e rapidità dell’opzione militare in Ucraina Putin si era sbagliato. C’é solo da sperare che si sia sbagliato anche sul momento socio-politico che, purtroppo, oggi stiamo davvero attraversando.