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Il declino dei socialisti europei non può lasciare indifferente il Pd. Scrive Fioroni

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Il problema che qui interessa è la condotta del Pd. La candidata socialista ha preso l’1,8 per cento. Ignorare la dêbacle permette di ovviare, ma solo temporaneamente, alla necessaria autocritica. Il commento di Giuseppe Fioroni

In queste ore si va formando un’ampio schieramento per la conferma di Macron all’Eliseo. A dispetto di molti opinionisti in cerca di sempre “nuove novità”, nella pubblica opinione francese prende forma, come già nelle precedenti elezioni presidenziali, una convergenza in virtù di quello spirito repubblicano che demarca il confine tra visione democratica e tendenza nazional-populista. Anche Nicolas Sarkozy e Lionel Jospin, attingendo rispettivamente alla tradizione gollista e socialista, si sono pronunciati a favore del Presidente in carica. La moderazione esibita da Marine Le Pen non convince affatto la classe dirigente francese.

Veniamo al dibattito che interessa il nostro Paese. In un contesto europeo sempre più integrato è giocoforza che si prenda parte, sempre con rispetto, alle vicende politiche di un’altra nazione. Cosa dobbiamo registrare, a riguardo? Forza Italia e Pd, come Sarkozy e Jospin, appoggiano Macron. A rovescio, la Meloni e (simbolicamente) Di Battista a questo non si acconciano, ritenendo incompatibile con le loro posizioni ideali il “nuovo centro” macroniano. Di Salvini, infine, s’intuisce solo uno stato d’animo confuso: il suo lepenismo cede di fronte alla constatazione del prezzo che potrebbe ulteriormente pagare in vista della campagna elettorale del prossimo anno. Tutto questo vuol dire che anche laddove si ragiona su questioni non attinenti alla dialettica politica italiana, vengono alla luce differenze corpose e perciò discriminanti.

Il problema che qui interessa è la condotta del Pd. Chi non era convinto, come me e pochi altri, dell’adesione al Partito socialista europeo sente in qualche modo il diritto di riproporre un interrogativo sulle scelte compiute nel recente passato. La candidata socialista ha preso l’1,8 per cento. Ignorare la dêbacle permette di ovviare, ma solo temporaneamente, alla necessaria autocritica. Non si capiva e non si capisce il motivo per il quale un “partito nuovo” – definizione ad hoc dei fondatori del Pd – abbia dovuto rinunciare a proiettare sulla scena politica europea la sua specificità e originalità, anche proponendosi come avanguardia di un processo di aggregazione al di là delle antiche appartenenze dei Popolari e dei Socialisti.

Oggi questo discorso di metodo e di sostanza va ripreso seriamente. Certo, non per escludere a priori la possibilità che il Pd riesca dall’interno a rigenerare il profilo della più immediata e diretta rappresentanza dei progressisti. Ma neppure va esclusa l’eventualità che il confronto di merito porti a valutare l’opportunità di una fuoriuscita, volendo preservare e difendere il patrimonio di innovazione politica, fuori dagli schemi del Novecento, del “partito unico” dei riformisti italiani.

Mettere la testa sotto la sabbia è accettare la condivisione di un declino a scala europea, destinato a riflettersi, vuoi o non vuoi, sul piano nazionale.


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